La Cassazione annulla la sentenza di condanna del professionista per evasione fiscale fondata sulle presunzioni tributarie.

Segnalo la sentenza numero 32027.2022, depositata il 31.08.2022, resa dalla terza sezione penale della Suprema Corte che si è pronunciata sull’importante tema giuridico della legittimità o meno dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato da parte del giudice penale quando la prova della consumazione del reato viene raggiunta utilizzando le presunzione tributarie derivanti dall’accertamento dell’Agenzia delle Entrate.

 

L’ipotesi di reato ed il giudizio di merito

La Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Ravenna che aveva condannato l’imputato per il reato di omessa dichiarazione.

Secondo quanto è dato ricavare dalla lettura della sentenza in commento, i giudici dei gradi di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità del prevenuto sulla base di un accertamento effettuato dall’Agenzia dele Entrate, che aveva accertato come ricavi non dichiarati somme pari ad € 242.000 transitate sul conto corrente bancario del professionista tratto a giudizio per rispondere del reato previsto e punito dall’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 il quale, nel corso del processo, non aveva giustificato il titolo degli accrediti elevati a sospetto.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità ed il principio di diritto.

Contro la sentenza emessa dalla Corte territoriale bolognese proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, denunciando vizio di legge per avere il giudice penale ritenuto integrato il reato sulla scorta di presunzioni tributarie, senza accertare autonomamente gli elementi costitutivi del delitto tributario.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso annullando con rinvio il provvedimento impugnato.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi della trama argomentativa della sentenza in commento:

Va premesso, con riguardo alla valenza in sede penale delle presunzioni tributarie (segnatamente di quella di cui all’art. 32, d.P.R. n. 600 del 1973 – la quale configura come ricavi sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari –  che questa Corte ha ritenuto le stesse inutilizzabili in base al principio secondo cui le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa (Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013 – dep. 13/02/2013, Piccolo, Rv. 254852).

Nel caso in esame, dalle due sentenze conformi emesse non emerge una verifica di elementi oggettivi di riscontro rispetto alle emergenze dei dati bancari.

Sul punto, osserva il Collegio, non vale a sorreggere il dato indiziario costituito dalle risultanze di dette indagini bancarie, il mero richiamo alla esclusione di talune entrate sulla base di previ criteri di irrilevanza, ai fini in esame, delle stesse, né il silenzio serbato dal contribuente (sul punto cfr. Sez. 3, n. 15899 del 02/03/2016 Ud. (dep. 18/04/2016 ) Rv. 266817 – 01).

Ed invero, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui non è consentito al giudice desumere dal silenzio dell’imputato sulla giustificazione di apparenti entrate reddituali, elementi o indizi di prova a suo carico, atteso che allo stesso è riconosciuto il diritto al silenzio e che l’onere della prova grava sull’accusa (Sez. 6, n. 8958 del 27/01/2015 – dep. 27/02/2015, Scarpa, Rv. 262499). Non deve, infatti, essere dimenticato che la negazione o il mancato chiarimento, da parte dell’imputato, di circostanze valutabili a suo carico nonché la menzogna o il semplice silenzio su queste ultime possono fornire al giudice argomenti di prova solo con carattere residuale e complementare ed in presenza di univoci elementi probatori di accusa, non potendo determinare alcun sovvertimento dell’onere probatorio (in termini: Sez. 1, n. 2653 del 26/10/2011 – dep. 23/01/2012. M., Rv. 251828).

In tale quadro, manca l’esistenza di quegli “univoci elementi probatori di accusa”, non potendo le risultanze derivanti dalle indagini bancarie, proprio in relazione alla inutilizzabilità della presunzione di cui al citato art. 32, rappresentare, ex se, idoneo elemento di prova per sorreggere la tesi dell’accusa, inidoneità non solo probatoria ma nemmeno indiziaria, posto che nel reato di omessa dichiarazione è rimesso al giudice penale il compito di accertare l’ammontare dell’imposta evasa, da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio detraibili, mediante una verifica che, privilegiando il dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento fiscale, può sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario (Sez. 3, n. 38684 del 04/06/2014 – dep. 23/09/2014, Agresti, Rv. 260389).

Sono quindi fondate le doglianze sviluppate”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA