La Cassazione detta la linea da seguire per la formazione della prova scientifica della responsabilità penale del medico.

Segnalo la sentenza numero 30816/2022 – depositata il 09.08.2022, resa dalla sezione quarta penale della Corte di Cassazione, che ha sottoposto allo scrutinio di legittimità un caso di responsabilità penale per omicidio colposo ascritta a due sanitari, secondo l’accusa colpevoli di aver tenuto una condotta attendista causa del decesso della paziente.

Nel decidere il caso di specie, la Suprema Corte, ha ritenuto di precisare in modo estremamente dettagliato i passaggi procedurali che deve seguire il giudice di merito per ritenere dimostrata la penale responsabilità del medico tratto a giudizio per una ipotesi di colpa professionale, rispettando il principio del contraddittorio nella formazione della prova, assicurato solo dal costante confronto tra tecnico d’ufficio e consulenti di parte che deve essere tutelato dalla fase del conferimento dell’incarico, durante lo svolgimento delle operazioni peritati, fino alla esposizione in contradditorio dibattimentale dei diversi pareri.

 

Il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.

Secondo il capo di imputazione era stata addebitata agli imputati, in cooperazione tra loro, la responsabilità in ordine al reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. per avere, nella loro qualità di specialisti in chirurgia generale, che si erano avvicendati nel turno in ospedale, con colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, cagionato la morte della paziente affetta da ernia ombelicale strozzata, omettendo di intervenire chirurgicamente, nonostante la gravità del quadro clinico, procrastinando l’intervento, causa dello shock settico, che conduceva a morte la paziente.

Il Tribunale di Latina affermava la penale responsabilità degli imputati; la Corte territoriale di Roma confermava la sentenza di primo grado, previa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con perizia svolta in grado di appello.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità ed il principio di diritto.

Le difese dei prevenuti interponevan0 ricorso per cassazione contro la pronuncia delle Corte distrettuale romana, articolando plurimi motivi di impugnazione stigmatizzando, per quanto di interesse per il presente commento, la violazione dell’effettivo contraddittorio nella formazione della prova scientifica che non aveva consentito di valorizzare il contributo dei consulenti di parte ritualmente nominati né durante lo svolgimento delle operazioni peritali, né in sede di esame processuale.

La Corte di Cassazione ha annullato sia agli effetti penali la sentenza impugnata constatando l’intervenuta prescrizione del reato, sia agli effetti civili rimettendo le parti innanzi alle sezione civile della Corte di Appello di Roma.

Di seguito si riportano ampi stralci tratti dalla parte motiva della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

Il tema del contraddittorio nella prova scientifica è stata oggetto di difformi orientamenti di questa Corte di legittimità.

 Secondo l’affermazione rimasta a lungo prevalente il giudice, dopo l’esame del perito, è tenuto ad integrare il contraddittorio con l’esame del consulente tecnico di parte solo qualora questi abbia assunto iniziative di sollecitazione e di contestazione rispetto all’attività peritale ed ai relativi esiti (Sez. 1, n. 54492 del 05/04/2017, Perillo, Rv. 271899; Sez. 6, Sentenza n. 27928 del 01/04/2014, Cappelli, Rv. 261641; Sez. 5, Sentenza n. 35468 del 04/06/2003, Stefani, Rv. 225810; Sez. 1, Sentenza n. 11867 del 26/10/1995, Ceccherelli, Rv. 203247) ciò, evidentemente, sulla scorta dell’assunto che l’assenza della critica sulla metodologia peritale e suoi risultati rende superfluo l’ascolto di un’opinione non difforme, essendo proprio l’iniziativa di sollecitazione o di contestazione ad imporre l’integrazione del contraddittorio.

Una più recente pronuncia (Sez. 2, n. 19134 del 17/03/2022, Di Noia, Rv. 283187), tuttavia, che ha preferito inquadrare la questione anche alla luce del diritto convenzionale, oltre che di quello costituzionale, è giunta a conclusioni diverse.

Il ragionamento, che individua i momenti della scansione della formazione della prova scientifica, muove dalla considerazione, sinanco scontata, che il contraddittorio deve essere garantito in tutte le fasi.

Il principio si ricava, infatti, non solo dall’art. 111 Cost., ma dal disposto dell’art. 6 art. 6 § 1 della Convenzione EDU, sulla parità delle armi, che impone di offrire all’accusato la possibilità di contrastare le tesi del tecnico del giudice o dell’altra parte attraverso la tesi veicolata nel processo dal proprio consulente.

Si tratta di un enunciato che viene rinvenuto dalla sentenza richiamata, da un lato, nella decisione della CEDU nel caso Matytsina v. Russia (27 aprile 2014) che ha identificato la lesione del contraddittorio proprio nella mancata acquisizione delle prove tecniche di parte e, segnatamente, nella mancata escussione degli esperti dell’accusa dei quali era stata acquisita la relazione, dall’altro nella decisone del caso Mantovanelli v. Francia (18 marzo 1997) che ha ritenuto l’iniquità del processo e la violazione dell’art. 6 § 1, perché ai ricorrenti non era stato consentito di partecipare alle operazioni peritali extraprocessuali, sviluppatesi attraverso l’audizione di persone in possesso di informazioni decisive.

Su questa premessa la Corte di legittimità ritiene di dover ‘aggiornare’ il precedente orientamento “nella parte in cui legittima l’omesso esame del tecnico di parte nei casi in cui questo non abbia tenuto un atteggiamento reattivo nel corso delle operazioni peritali”, osservando che “la tutela del diritto al contraddittorio nella formazione della prova scientifica assuma una configurazione più complessa di quella del semplice diritto al controesame, che connota la prova dichiarativa e si invera nel costante confronto tra tecnico d’ufficio e consulenti di parte che deve essere tutelato dalla fase del conferimento dell’incarico, durate lo svolgimento delle operazioni peritati, fino alla esposizione in contradditorio dibattimentale dei pareri.

Di contro, non si rinviene alcuna ragione, invero, che legittimi il condizionamento dell’audizione del tecnico di parte – ove richiesta – ad una partecipazione “reattiva” e non acquiescente alle operazioni extra dibattimentali: non è insolito infatti che i tecnici che rappresentano gli interessi delle parti condividano il metodo proposto dal perito e, dunque, non si oppongano all’uso dello stesso, pur avendo opinioni diverse quanto alle valutazioni finali, espresse nella relazione.

Non consentire alla parte che lo richiede che il proprio tecnico esprima in contraddittorio le ragioni del dissenso sulle conclusioni del perito, denegando l’esame sulla base della acquiescenza mostrata nel corso delle operazioni peritati, integra invece una lesione del diritto di difesa, dato che si impedisce alla parte di ‘contraddire’ una prova sfavorevole con le armi disponibili, che nel caso della prova scientifica si traducono nella veicolazione nel processo di un parere tecnico antagonista”.

 Così conclude che “il diritto al contraddittorio deve essere tutelato in tutte le fasi che caratterizzano la formazione della prova scientifica: dunque sia nella fase del conferimento dell’incarico attraverso la formulazione del quesito, che nel corso delle operazioni peritati extradibattimentali (che devono essere svolte garantendo la partecipazione dei tecnici di parte), che, infine, attraverso l’ ammissione dell’esame del perito e dei tecnici, cui segue l’acquisizione degli elaborati scritti, ai sensi dell’art. 511 comma 3 cod. proc. pen.

Affinché la tutela di tale diritto sia effettiva i tecnici di parte devono (a) avere la possibilità di presenziare al conferimento dell’incarico ed alla formulazione del quesito, (b) essere posti nelle condizioni partecipare alle operazioni tecniche, (c) se la parte lo chiede, devono essere esaminati in contraddittorio nel dibattimento (o nell’incidente probatorio peritale), nulla rilevando che la loro partecipazione alle operazioni peritati non sia stata ‘reattiva’, ovvero caratterizzata dalla proposizione di specifiche critiche nei confronti del metodo proposto ed utilizzato.

Tale interpretazione, oltre ad essere coerente con la tensione verso la massima tutela del diritto al contraddittorio, che si ricava sia dalla Costituzione che dalla Convenzione di Roma, trova conforto anche nel tessuto codicistico, tenuto conto che: (a) l’art. 230 cod. proc. pen. riconosce ai consulenti di parte il diritto ad assistere al conferimento dell’incarico ed a partecipare attivamente allo stesso, presentendo al giudice richieste, osservazioni e riserve delle quali è fatta menzione nel verbale; (b) lo stesso articolo riconosce ai consulenti il diritto a ‘partecipare’ alle operazioni peritati, “anche” – e ‘non solo’ – attraverso la proposizione di specifiche indagini, osservazioni e riserve; (c) l’art. 468 cod. proc. pen. facoltizza le parti ad inserire in lista i consulenti e ad ottenerne l’esame, anche attraverso la presentazione diretta in dibattimento.

Peraltro il diritto al contraddittorio nella formazione della prova scientifica è tutelato anche dalla previsione del diritto a nominare consulenti tecnici “dopo l’esaurimento delle operazioni peritali” (art. 230, comma 3 e 233 comma i cod. proc. pen.): norma che risulta incompatibile con la contrazione della tutela delle prerogative del consulente di parte endoperitale. Si tratta di una griglia di tutela, che all’evidenza sostiene tutto l’iter di formazione della prova scientifica (e si dipana anche “oltre” con la previsione del diritto alla nomina di consulenti extraperitali). E che non appare compatibile con la limitazione del diritto all’esame del consulente di parte nei soli casi in cui questi, nel corso delle operazioni peritali, abbia manifestato il suo parere contrario al metodo proposto e in concreto utilizzato” (Sez. 2, n. 19134 del 17/03/2022, Di Noia, Rv. 283187, in motivazione).

Sono argomenti che questo Collegio ritiene di dover integralmente condividere, in quanto solo il pieno accesso alla contraddizione, in qualunque momento, consente la piena difesa e la ‘parità delle armi’ che tocca al giudice assicurare a tutti coloro che partecipano al processo, ed in primis all’imputato.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha mancato di adempiere a siffatto fondamentale compito rimessogli dall’ordinamento, perché non solo non ha provveduto all’esame dei consulenti tecnici, il cui contributo era già stato sacrificato dai tempi di consultazione in sede extraprocessuale (ancorché ciò non dia luogo ad alcuna nullità), dopo avere esaminato il perito in sede dibattimentale, ma neppure ne ha considerato l’apporto scientifico al momento della decisione, pretermettendo del tutto il confronto con le loro conclusioni.“.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA