Rispondono di bancarotta fraudolenta causata da debiti fiscali anche gli amministratori senza delega.

Segnalo la sentenza numero 28678.2022, resa dalla quinta sezione penale della Suprema Corte, pronunciatasi in materia penale fallimentare sulla questione giuridica della responsabilità degli amministratori della società di capitali chiamati a rispondere di bancarotta fraudolenta da operazioni dolose contestata per il sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie protrattasi per un lungo arco temporale.

La Corte di legittimità, nel decidere il caso di specie, ha rigettato i ricorsi interposti contro la sentenza resa in grado di appello dalla Corte territoriale di Milano, anche nella parte in cui avevano denunciato vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata che aveva affermato la responsabilità dei componenti del CDA privi di delega e quindi di concreto potere gestorio.

La Corte regolatrice ha rigettato gli interposti ricorsi.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

Quanto agli amministratori senza delega, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che, ai fini della configurabilità del loro concorso per omesso impedimento dell’evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte dell’amministratore delegato in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà – nella forma del dolo indiretto – di non attivarsi per scongiurare detto evento (Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, E., Rv. 273925; Sez. 1, n. 14783 del 09/03/2018, Lubrina e altri, Rv. 272614; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi e altri, Rv. 261938; Sez. 5, n. 23000 del 05/10/2012, dep. 2013, Berlucchi e altri, Rv. 256939; Sez. 5, n. 42519 del 08/06/2012, Bonvino e altri, Rv. 253765).

Ebbene, la motivazione della sentenza impugnata non è manifestamente illogica né incorre in errori di diritto quando valorizza la durata della carica amministrativa rivestita da [omissis] e [omissis] per sette anni, compatibile con la percezione di segnali di allarme, nel contempo rimarcando la mancata dimostrazione delle asserite contestazioni mosse a [omissis], che sostanziano anche i motivi di ricorso.

Peraltro la sentenza impugnata afferma di un inadempimento sistematico del debito tributario che risale al 2000 (ben prima, dunque, che i due ricorrenti assumessero la carica amministrativa) e che si è protratto negli anni, mentre non si apprezza il dato, dalla ricostruzione della decisione avversata, che detto debito sia sorto solo negli anni 2014 e 2015, come sostenuto dagli impugnanti.

Ebbene, di fronte alla sistematicità della condotta accertata, il ragionamento svolto dai ricorrenti non mette in crisi il costrutto argomentativo della Corte di merito, dal momento che non si è trattato, per esempio, di singole condotte distrattive che esulavano dalla gestione ordinaria e che potevano essere state realizzate dall’amministratore delegato in maniera clandestina, ma di un’omissione sistematica e quasi “strutturale” del pagamento delle imposte quale forma di vero e proprio autofinanziamento, che non è irrazionale ritenere percepito dagli amministratori senza delega che partecipavano alle decisioni del consiglio di amministrazione”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA