La Cassazione conferma il reato di autoriciclaggio per il truffatore che reinveste i profitti illeciti in moneta virtuale.

Segnalo la sentenza numero 27023.2022, resa dalla seconda sezione penale della Suprema Corte, pronunciatasi in sede cautelare personale su una ipotesi di autoriciclaggio commessa mediante l’acquisto di criptovalute con il provento di altri reati (presupposti) contro il patrimonio.

La Corte di legittimità, nel decidere il caso di specie, ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che la condotta di reimpiego dei capitali provento di truffa, rientra pienamente nel raggio punitivo dell’art. 648 ter cod. pen. introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 15 dicembre 2014, n.186.

 

L’ipotesi di reato ed il giudizio cautelare.

Il Tribunale di Milano, decidendo in funzione di giudice del riesame, rigettava l’istanza di revoca dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale cittadino per gravi indizi di colpevolezza in ordine ad una serie di truffe on – line ed al delitto di autoriciclaggio consumato tramite l’acquisto di bitcoin con il denaro entrato nella disponibilità dell’indagato come profitto del reato presupposto.

 

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro l’ordinanza del Tribunale della Libertà proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’indagato articolando plurimi motivi di impugnazione, con uno dei quali veniva denunciato vizio di legge in ordine alla configurazione del reato di autoriciclaggio in provvisoria contestazione.

La Corte regolatrice ha dichiarato inammissibile il ricorso

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

“L’analisi del Tribunale circa il riscontro dei requisiti dell’autoriciclaggio è rigorosa, puntuale ed apprezzabile nell’interpretazione della normativa di riferimento, correttamente applicata al caso in esame, di acquisto di moneta virtuale (bitcoin) con il denaro provento delle truffe.

Il ricorrente ritiene che le operazioni in questione non avrebbero la finalità speculativa indicata nel capo d’imputazione e che, in ogni caso, le regole del mercato di riferimento non consentirebbero di nascondere l’identità dell’acquirente, essendo incentrate su criteri di trasparenza.

Orbene, a prescindere che nel capo d’incolpazione provvisoria è ben individuata la condotta delittuosa rilevante (“avendo commesso i delitti di truffa aggravata di cui ai precedenti capi, impiegava e sostituiva in attività speculative e, in particolare, nell’acquisto di criptovalute il denaro preveniente dalla commissione di tali delitti in modo da ostacolarne concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa”), il provvedimento impugnato si sofferma esaurientemente su entrambi gli aspetti, riscontrando le censure difensive.

Ha evidenziato innanzitutto che il ricorrente ha provveduto a curare immediatamente il trasferimento di somme non appena accreditate – senza mai riscuoterle – attraverso disposizioni on line in favore di altro conto tedesco intestato alla piattaforma di scambio di bitcoin, per il successivo acquisto di valuta virtuale il cui impiego finale risulta ancora imprecisato, ponendo così in essere un investimento dei profitti illeciti in operazioni di natura finanziaria, idonee a ostacolare la tracciabilità e la ricostruzione della origine delittuosa del denaro.

La moneta virtuale, secondo la condivisibile prospettazione del tribunale, basata su pertinenti richiami legislativi, giurisprudenziali e dottrinari, non può essere esclusa dall’ambito degli strumenti finanziari e speculativi ai fini di una corretta lettura dell’art. 648 ter.1 cod. pen.

È questo l’aspetto con il quale maggiormente il ricorrente non si confronta criticamente sì che il motivo risulta aspecifico.

Nel rinviare alle pagine da 16 a 22 dell’ordinanza impugnata, vanno ribaditi i seguenti punti:

  • l’indicazione normativa ex art. 648 ter.1 cod. pen. delle attività (economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative) in cui il denaro, profitto del reato presupposto, può essere impiegato o trasferito, lungi dal rappresentare un elenco formale delle attività suddette, appare piuttosto diretta ad individuare delle macro aree, tutte accomunate dalla caratteristica dell’impiego finalizzato al conseguimento di un utile, con conseguente inquinamento del circuito economico, nel quale, vengono immessi denaro o altre utilità provenienti da delitto e delle quali il reo vuole rendere non più riconoscibile la loro provenienza delittuosa (in termini, in motivazione, par. 1.8.1, Cass. sez. 2, sent. n. 13795 del 07/03/2019 – dep 29/03/2019 – Rv. 275228);
  • possono essere ricondotte nell’ambito della dizione di “attività speculativa”(della quale il legislatore, non a caso, non offre rigida definizione) molteplici attività e, in particolare, tutte quelle in cui il soggetto ricerca il raggiungimento di un utile, anche assumendosi il rischio di considerevoli perdite;
  • le valute virtuali possono essere utilizzate per scopi diversi dal pagamento e comprendere prodotti di riserva di valore a fini di risparmio ed investimento (sul punto, il parere della BCE riportato a pag. 18dell’ordinanza, recepito nella V direttiva UE antiriciclaggio 2018/843);

 

  • come sottolineato in dottrina, la configurazione del sistema di acquisto di bitcoin si presta ad agevolare condotte illecite, in quanto – a differenza di quanto rappresentato in ricorso con il richiamo alle registrazioni sulla blockchain e sul distribuited ledger – è possibile garantire un alto grado di anonimato (sistema cd. permissionless), senza previsione di alcun controllo sull’ingresso di nuovi “nodi” e sulla provenienza del denaro convertito (si è anche sottolineato come sia ormai noto il vasto numero di criptovalute utilizzate nel darkweb, proprio per le loro peculiari caratteristiche, e che alcune di esse, attraverso l’uso di tecniche crittografiche avanzate, garantiscono un elevato livello di privacy sia in relazione alla persona dell’utente sia in relazione all’oggetto delle compravendite);

 

 

  • indubbiamente, con il decreto legislativo n. 90/2017 attuativo della IV Direttiva Antiriciclaggio, il legislatore italiano ha apportato sostanziali modifiche al d.lgs. 231/2007, a sua volta attuativo della Direttiva 2005/60/CE, anticipando le disposizioni della V Direttiva Antiriciclaggio in materia di criptovalute, valute virtuali e destinatari degli obblighi di prevenzione, normativa di carattere preventivo che si affianca alla disciplina penalistica di contrasto a riciclaggio e autoriciclaggio di cui agli artt. 648-bis e 648-ter.1 cod. pen. senza tuttavia che nella fattispecie in esame risulti che tale nuovo meccanismo di controllo abbia consentito di evitare il reato contestato (al contrario, accertata la re-immissione del profitto delle truffe nel circuito dell’economia legale, sono risultate estremamente difficili le attività di ricostruzione dell’identità del soggetto al quale riferire le singole transazioni in criptovaluta, anche perché l’account impiegato dal [omissis] faceva riferimento a false generalità dell’intestatario del conto corrente bancario di provenienza).

In definitiva, i gravi indizi di colpevolezza, correttamente esaminati, giustificano l’adozione della misura in riferimento a tutti i reati contestati”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA