Sequestro penale del conto corrente della beneficiaria del reddito di cittadinanza se l’autocertificazione presentata è mendace.

Segnalo la sentenza numero 37922.2022 – depositata il 07/10/2022, resa dalla sezione terza penale della Suprema Corte, che si è pronunciata sule conseguenze di carattere penale che derivano dalla indebita percezione di risorse economiche dello Stato a titolo di reddito di cittadinanza quando dagli accertamenti eseguiti (a campione) risultano delle difformità tra quanto dichiarato dal richiedente la misura di sostegno al reddito familiare e quanto accertato dagli organi investigativi.

La Suprema Corte, nel decidere il caso di specie, ha ritenuto legittima sia l’imputazione provvisoria,  sia, soprattutto, l’esecuzione della misura cautelare sul conto corrente dell’indagata, trattandosi di sequestro di liquidità da qualificare sempre come diretto.

 

L’imputazione provisoria ed il giudizio cautelare.

Il Tribunale del Riesame di Biella confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del medesimo Tribunale, con cui era stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca diretta della somma di 10.698,98 euro nei confronti dell’indagata del reato di cui all’art. 7 commi 1 e 2 del decreto legge n. 4 del 2019, convertito dalla legge n. 26 del 2019.

Secondo la tesi accusatoria la persona sottoposta ad indagine aveva consumato il reato di cui sopra per avere, al fine di ottenere indebitamente il reddito di cittadinanza, reso false dichiarazioni in merito alla situazione anagrafica del proprio nucleo familiare e per aver omesso di fornire informazioni dovute ai fini della revoca o della riduzione del beneficio.

In particolare, secondo l’incolpazione provvisoria, l’indagata non aveva indicato nella domanda originaria che nel suo nucleo familiare era compreso anche il coniuge e, successivamente, a beneficio ottenuto, aveva omesso di comunicare nei termini di legge la presenza nel predetto nucleo di un figlio sottoposto a misura cautelare.

Il sequestro disposto dal G.I.P. veniva eseguito sul conto corrente per un importo pari ad euro 10.698,98 equivalente alla somma indebitamente percepita dall’indagata in forza delle mendaci autocertificazioni relative al proprio nucleo familiare.

 

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro l’ordinanza resa dalla Collegio cautelare di Biella interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’indagata articolando plurimi motivi di impugnazione per contestare sia la fondatezza della ipotesi di reato, sia la legittimità del sequestro eseguito sul conto corrente il cui saldo si riferiva ai redditi da lavoro dipendente e non all’accredito degli emolumenti per reddito di cittadinanza.

La Corte regolatrice ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

“……. Premesso che il sequestro, finalizzato alla confisca, ha avuto ad oggetto esattamente la somma (euro 10.698,98) corrispondente al profitto percepito dalla ricorrente per effetto della condotta oggetto della provvisoria imputazione, deve richiamarsi la recente affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 42415 del 27/05/2021, Rv. 282037), secondo cui la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione.

A ciò deve solo aggiungersi che, in ogni caso, la doglianza circa la presenza sul conto postale sequestrato degli emolumenti retributivi, tanto in questa sede, quanto e soprattutto dinanzi al Tribunale del Riesame, è stata formulata in termini non specifici, non essendo stati cioè indicati (sotto il profilo contenutistico prima ancora che temporale) gli effettivi importi stipendiali percepiti, sia in sé, sia in rapporto all’intera provvista presente sul conto, il che, a prescindere dalle considerazioni in punto di diritto prima esposte, non consente di cogliere la reale pregnanza, anche in punto di fatto, della censura sollevata”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA