La Cassazione chiarisce la distinzione tra il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e quello di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Segnalo la sentenza numero 38872.2022 – depositata il 14/10/2022, resa dalla sezione terza penale della Suprema Corte, che si è pronunciata sulla differenza tra gli elementi costitutivi che connotano il reato tributario punito dall’art.3 d.lgs. n.74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), rispetto a quelli che devono ricorrere per integrare la diversa fattispecie prevista dall’art.2 d.lgs. n.74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).
Secondo l’insegnamento del Collegio del diritto ciò che accumuna le due fattispecie di reato è l’avvenuta presentazione di una dichiarazione infedele, cui si aggiungono in chiave specializzante, per l’art.2 d.lgs. n. 74/2000, l’utilizzazione di fatture e documenti analoghi relativi a operazioni inesistenti e, dall’altro, per l’art.3 d.lgs. n.74/2000, una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie congiunta con l’utilizzo dimezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento, nonché la previsione di una soglia minima di punibilità il cui superamento deve essere dimostrato in giudizio al pari degli altri elementi.
Nel caso di specie, la Suprema Corte, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata con la quale non erano state adeguatamente esplicitate le ragioni per le quali si poteva ritenere consumato il reato di dichiarazione infedele in luogo di quello originariamente contestato di frode fiscale.
Il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.
La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale, riqualificava i fatti di cui a due capi di imputazioni per i quali era stata contestata e ritenuta provata in primo grado la penale responsabilità dell’imputato per frode fiscale, nel diverso reato di cui all’art.3, comma 2, d.lgs. n.74/2000, dichiarando non doversi procedere nei confronti per altra imputazione perché il reato era estinto per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena.
Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.
Contro la sentenza resa dalla Corte distrettuale proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato articolando plurimi motivi di impugnazione.
La Corte regolatrice ha accolto il ricorso annullando con rinvio la sentenza impugnata.
Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:
“La Corte di appello ha richiamato la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il reato di frode fiscale ex art. 2 del d.lgs. n.74 del 2000 è configurabile ogniqualvolta il contribuente, per effettuare una dichiarazione fraudolenta, si avvalga di fatture o altri documenti che attestino operazioni non realmente effettuate, non rilevando la circostanza che la falsità sia ideologica o materiale, distinguendosi la frode sanzionata dall’art. 2 da quella di cui al successivo art. 3 non per la natura del falso, ma per il rapporto di specialità reciproca esistente tra le condotte previste dagli art. 2 e 3, nel senso che a un nucleo comune, costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, si aggiungono in chiave specializzante, da un lato (art. 2), l’utilizzazione di fatture e documenti analoghi relativi a operazioni inesistenti e, dall’altro (art. 3), una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie congiunta con l’utilizzo dimezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento, nonché la previsione di una soglia minima di punibilità (cfr. in termini, Sez.3, n.6360 del25/10/2018,dep.11/02/2019, Rv.275698 – 01; Sez. 3, n. 9673 del 09/02/2011 Rv. 249613, Sez. 3, n. 2156 del 18/10/2011, dep. 2012, Rv. 251877 e Sez. 3, n. 46785 del 10/11/2011, Rv. 251621).
La dichiarazione fraudolenta sanzionata dall’art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000, si è sottolineato, è costruita dal legislatore come frode contabile alla quale deve associarsi un quid pluris non tipizzato ma necessariamente diverso dall’uso di fatture o altri documenti falsi, anche in senso materiale, e comunque caratterizzato dalla idoneità ad indurre in errore e a impedire il corretto accertamento della realtà contabile del soggetto che presenta la dichiarazione d’imposta.
La Corte territoriale, nell’ operare la riqualificazione delle condotte ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 74/2000, si è, però, limitata a richiamare i principi giuridici suesposti ed a elencare gli elementi costituiti del reato di cui all’art. 3 d.lgs. 74/2000 (nella formulazione della norma antecedente alla riforma ad opera del d.lgs. 158/2015, in coerenza con la collocazione temporale delle condotte relative agli anni di imposta 2010 e 2011), senza, però, effettuare, con argomentazioni specifiche e correlate alla valutazione delle risultanze probatorie, la consequenziale e successiva valutazione in concreto dei fatti accertati, ritenendo integrato il reato con argomentazioni generiche ed assertive e, quindi, esprimendo una motivazione apparente”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA