E’ da annullare la sentenza della Corte di appello che non motiva sul dolo specifico richiesto per la bancarotta fraudolenta documentale da mancata consegna delle scritture contabili.

Segnalo la sentenza numero 39798.2022 – depositata il 20/10/2022, resa dalla sezione quinta penale della Suprema Corte, che si è pronunciata nuovamente sul tema giuridico della bancarotta fraudolenta specifica, che ricorre quando nel capo di imputazione viene contestata la condotta di sottrazione o distruzione (cui è equiparata la mancata consegna) delle scritture contabili, per la cui punibilità occorre dimostrare la sussistenza del dolo specifico in capo all’autore del reato.

Nel caso di specie, la Suprema Corte, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per aver erroneamente motivato in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, richiamando il concetto di impossibilità di ricostruzione del patrimonio della fallita che, tipicamente, qualifica la cosiddetta bancarotta fraudolenta generica, fatto diverso da quello in disamina, che presuppone la consegna delle scritture ed un accertamento sulle stesse svolto dagli organi fallimentari.

Conseguentemente, secondo la Corte di legittimità, doveva essere accolta la censura mossa con l’appello di vizio di motivazione sulla sussistenza del dolo specifico.

 

Il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte di appello di Catania confermava la condanna dell’imputato per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, commesso nella qualità di amministratore di una società di capitali riducendo la durata delle pene accessorie di cui all’art. 216 u.c. legge fall., in ossequio alla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018.

Secondo quanto ricostruito concordemente dai giudici di merito, l’amministratore della società fallita nel corso della procedura concorsuale non aveva adempito all’invito a lui rivolto dal curatore fallimentare di consegnare le scritture contabili.

Da qui la contestazione dell’art. 216, comma primo, n.2, legge fallimentare.

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte distrettuale proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, articolando plurimi motivi di impugnazione, uno dei quali impingente il tema della colpevolezza.

La Corte regolatrice ha accolto il ricorso annullando con rinvio la sentenza impugnata.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

“La bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma primo,n. 2, legge fall. prevede due fattispecie alternative:

-quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili (cui è parificata l’omessa tenuta-cfr. infra), che richiede il dolo specifico consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori;

– quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita, ipotesi che, diversamente dalla prima, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838; Sez. 5, n.26379 del 05/03/2019, Inverardi, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017,Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904).

Anche l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili deve essere ricondotta nell’alveo di tipicità dell’art. 216 comma primo, n.2, legge fall., atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari dell’imprenditore, a fortiori ha inteso punire anche colui che non ha istituito la suddetta contabilità, ancorché solo per una parte della vita dell’impresa.

A tal fine occorre, però, che l’omessa tenuta della contabilità (al pari delle altre ipotesi riferibili alla prima ipotesi) sia sorretta da dolo specifico; è necessario, cioè, accertare che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori, perché altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella – analoga sotto il profilo materiale – di bancarotta semplice documentale prevista dall’art. 217 legge fall. (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, De Mitri, Rv. 252992; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, Di Cosimo, Rv. 262915; Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Morace, Rv. 279179).

Nel caso in esame la Corte di appello, non cogliendo la struttura di norma mista alternativa della disposizione incriminatrice in esame, ha operato una “fusione” tra le due fattispecie previste dalla medesima, trasformando la seconda in una sorta di evento della condotta oggetto della prima (laddove afferma che la mancata consegna della contabilità «aveva comportato per la curatela la impossibilità di ricostruire il patrimonio della fallita»); ma soprattutto, ciò che più rileva alla luce dei motivi di ricorso, sostituendo il dolo generico richiesto per la sussistenza dell’una a quello specifico invece necessario al perfezionamento dell’altra.

 

L’errore è reso palese dal fatto che, nell’occuparsi dell’elemento soggettivo del reato, la Corte di appello afferma, “in negativo”, che: «le condotte accertate nella vicenda fallimentare non possono essere connotate da mera colpa omissiva di consegna delle scritture contabili», quando invece avrebbe dovuto illustrare, “in positivo”, le ragioni per le quali ritiene che la condotta dell’imputato fosse sorretta dallo scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA