Inapplicabile la tenuità del fatto per il reato di omessa dichiarazione se l’imputato risulta già condannato definitivamente per reati della stessa indole.

Segnalo recente sentenza numero 39835/2022 – depositata il 21.10.2022, resa dalla sezione terza penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi sulla questione giuridica, spesso ricorrente nella quotidiana pratica giudiziaria, delle condizioni che devono ricorrere per poter chiedere utilmente l’applicazione  della causa di non punibilità del fatto di  speciale tenuità ai reati tributari quando, come nel caso di specie, l’integrazione del reato presuppone il superamento della soglia di punibilità.

La suprema Corte, nel decidere il caso di specie, ha validato il percorso logico – giuridico seguito concordemente dai giudici del merito che avevano messo in evidenza come l’imputato non fosse meritevole  della applicazione della norma prevista dall’art.131 bis cod. pen.  anche per  carenza del requisito soggettivo della non abitualità del comportamento, avendo egli riportato tre condanne definitive per il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali da considerare della stessa indole di quello di omessa dichiarazione.

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte di appello di Firenze confermava la decisione resa dal Tribunale di Grosseto e appellata dall’imputato condannato per il reato previsto e punito dall’art. 5 d.lgs. n. 74/2000, perché al fine di  evadere l’imposta sul valore aggiunto per l’importo di 53.047 euro, non presentava, essendovi obbligato, la dichiarazione annuale fiscale relativa all’anno di imposta 2012.

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza della Corte territoriale fiorentina veniva interposto ricorso per cassazione articolando plurimi motivi di doglianza con cui era stato  denunciato anche il vizio di legge e di motivazione del capo della sentenza impugnata che aveva  denegato l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen.,  malgrado il contenuto  scostamento dalla soglia di punibilità pari ad € 50.000.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dalla parte motiva della sentenza in commento che affrontano la questione giuridica oggetto della presente nota:

Nel caso in esame, inoltre, vi e un elemento ulteriore che osta all’applicazione della caso di non punibilità in esame.

In relazione alla non abitualità del comportamento, e opportuno richiamare l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite di questa Corte a proposito della commissione di “più reati della stessa indole”, che, integrando un comportamento abituale, osta all’applicazione della causa di non punibilità in esame.

In particolare, le Sezioni Unite (sent. n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj) hanno chiarito, in primo luogo, che “il tenore letterale lascia intendere che l’abitualità si concretizza in presenza di una pluralità di illeciti della stessa indole (dunque almeno due) diversi da quello oggetto del procedimento nel quale si pone la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis”; ciò significa che “il terzo illecito della medesima indole dà legalmente luogo alla serialità che osta all’applicazione dell’istituto”.

Quanto alla definizione di “reati della stessa indole”, le Sezioni Unite hanno richiamato la definizione racchiusa nell’art. 101 cod. pen., che individua due categorie: una formale, riferita alla violazione della stessa disposizione di legge, ed una per così dire sostanziale, connessa ai caratteri fondamentali comuni dovuti alla natura dei fatti che li costituiscono o ai motivi determinanti (In particolare, la categoria sostanziale individua diversi parametri, di cui va rimarcata la alternatività; e che, per espressa enunciazione della definizione legale, afferiscono ai casi concreti.

II primo parametro, d’impronta oggettiva, attiene alla natura dei fatti.

L’altro, soggettivo, coglie i motivi determinanti, le finalità della condotte. In relazione al parametro oggettivo, nella sua vaghezza legata all’evocazione della natura dei fatti, chiama in causa diversi fattori, quali “la natura dei beni giuridici protetti dalle diverse incriminazioni”, nonché “le connotazioni delle diverse condotte concrete, che pure possono ben esprimere le sostanziali connessioni tra gli illeciti rilevanti ai fini del giudizio affidato al giudice”.

In altri termini, per “reati della stessa indole”, ai sensi dell’art. 101 cod. pen., devono intendersi quelli che violano una medesima disposizione di legge e anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, presentano nei casi concreti – per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati – caratteri fondamentali comuni (da ultimo, Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, dep. 13/09/2019, Assisi, Rv. 278166).

Orbene, come emerge dagli atti, l’imputato ha riportato tre condanne definitive (postate ai n. 3, 5 e 7 del certificato del casellario giudiziale) per i reato di omesso versamento di ritenute previdenziali.

In applicazione dei principi dinanzi indicati, può affermarsi che si tratta di reati della stessa indole rispetto al delitto di omessa presentazione della dichiarazione, essendo entrambi gli illeciti accomunati dal mancato pagamento di somme che,  in ambito lavorativo, sono dovute o  quali contributi previdenziali ovvero a titolo di imposta, il che, anche dal punto di vista soggettivo, sta parimenti a denotare una comunanza di motivazione, insita, appunto, nella volontà di sottrarsi al pagamento di somme dovute per legge.

 

Si e in  presenza, inoltre, di una condotta pacificamente seriale, posto che l’imputato ha riportato, in precedenza, ben tre condanne per reati della stessa indole”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA