Confermato il sequestro per il reato di omessa dichiarazione in danno dell’indagato che non dimostra l’importo dei costi sostenuti per ridurre l’imposta dovuta.
Segnalo la sentenza numero 39846.2022 – depositata il 21.10.2022, resa dalla sezione terza penale della Suprema Corte, che si è pronunciata in sede cautelare reale sul tema giuridico della sussistenza del reato di omessa dichiarazione, previsto e punito dall’art.5 d.lgs. n.74/2000, che punisce la condotta del contribuente, il quale, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte.
Il reato prevede una soglia di punibilità relativa all’imposta evasa che per ciascuna delle singole imposte deve essere superiore ad euro cinquantamila.
Il superamento della soglia di punibilità è elemento costitutivo del reato e deve essere accertato dal giudice di merito che dovrà valutare l’imponibile e quindi l’imposta evasa secondo il regime di tassazione applicabile all’imputato.
Nel caso di specie, la Suprema Corte, ha rigettato il ricorso per cassazione contro l’ordinanza del Tribunale cautelare, anche nella parte in cui era stata censurata la sussistenza del fumus commissi delicti quanto al superamento della soglia di punibilità, non avendo la difesa assolto l’onere della prova su di essa incombente relativo alla dimostrazione dei maggiori costi sostenuti idonei perabbattere l’imponibile e quindi ridurre l’imposta al di sotto della soglia di punibilità.
L’imputazione provvisoria ed il giudizio cautelare di merito.
Il Tribunale di Ancona, adito in sede di riesame, confermava il sequestro preventivo finalizzato alla confisca tanto diretta, quanto per equivalente sul patrimonio personale dele persone fisiche, del danaro corrispondente alle imposte evase disposto nei confronti di due indagati del reato di cui all’art.5 d.lgs. 74/2000 per avere in qualità di amministratori di fatto di varie ditte individuali esercenti l’attività di vendita di autovetture, omesso di presentare, le dichiarazioni dei redditi relative agli anni di imposta 2017, 2018 e 2019.
Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.
Contro la sentenza resa dal Collegio cautelare di Ancona proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, articolando plurimi motivi di impugnazione, uno dei quali impingente il tema della dimostrazione dei presunti costi sostenuti dal contribuente per ridurre l’imponibile.
La Corte regolatrice ha rigettato il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:
“E’ ben vero che alla ricostruzione del reddito dell’impresa nell’esercizio di competenza concorrono anche le spese e gli altri componenti negativi, ma questi devono essere certi o comunque determinabili in modo obiettivo (art.109, comma 1, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), non potendo essere puramente e semplicemente presunti. Sicché, ove a fronte dell’accertamento di ricavi non dichiarati l’imputato lamenti la mancata deduzione dei costi ad essi inerenti, deve provarne l’esistenza (artt. 187 e 190, cod. proc. pen.), o comunque allegare i dati dai quali l’esistenza di tali costi poteva essere desunta e dei quali il giudice non ha tenuto conto, non essendo legittimo, neppure in sede penale, presumere l’esistenza di costi deducibili in assenza se non altro di allegazioni fattuali che rendano almeno legittimo il dubbio in ordine alla loro sussistenza (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 37131 del 09/04/2013, Siracusa, Rv. 257678; Sez. 3, Sentenza n. 53907 del 01/06/2016, Caterina, Rv. 268717).
Di nessuna censura è perciò passibile la sentenza impugnata che, a fronte del silenzio serbato dall’imputato, ha quantificato l’imposta evasa contabilizzando i maggiori ricavi conseguiti senza detrarre i costi in ordine alla cui esistenza effettiva (o anche solo al ragionevole dubbio in ordine alla loro esistenza) manchino specifiche deduzioni o allegazioni”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA