Il rilevante debito verso l’erario causa del fallimento non determina automaticamente la bancarotta per effetto di operazioni dolose.
Segnalo la recente sentenza numero 40791/2022 – depositata il 27/10/2022, resa dalla sezione quinta penale, che si è pronunciata sulla sussistenza o meno del reato di bancarotta patrimoniale per effetto di operazioni dolose contestato all’imputato in relazione ad un fallimento nel cui stato passivo risultava intervenuto l’Erario con un credito di rilevante valore.
La sentenza in commento, che ha annullato quella resa dalla Corte di appello ordinando un nuovo giudizio sul punto, è molto interessante perché esclude l’insidiosa tendenza registrata in alcuni arresti giurisprudenziali a considerare l’inadempimento delle obbligazioni sociali seguito dal fallimento (ora dichiarazione di insolvenza), fonte di responsabilità penale dell’imprenditore individuale o dell’amministratore dell’impresa collettiva per il danno cagionato al ceto creditorio.
Il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.
Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che la Procura della Repubblica di Napoli aveva contestato all’imputato in qualità di legale rappresentante di una società di capitali di avere sottratto e distrutto i libri e le altre scritture contabili della società, al fine di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e dei movimenti degli affari della medesima, nonché di essersi sottratto sistematicamente e volontariamente agli obblighi tributari determinando un debito erariale a carico della società pari a euro 43.387.460,00, accertato in sede tempestiva, e di euro 6.000,00, accertato in sede tardiva a fronte di un attivo rinvenuto inesistente.
Al medesimo giudicabile veniva contestata la bancarotta fraudolenta di beni facenti parte del patrimonio sociale con l’aggravante di aver commesso più fatti tra quelli di cui all’art. 216 I. fall. e di aver provocato un danno patrimoniale di rilevante gravità.
Il Tribunale di Napoli dichiarava l’imputato colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta pluriaggravato ascrittogli – di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1) e n. 2) e 219,comma 2, n. 1), I. fall. alle pene (principale ed accessoria) ritenute di giustizia.
La Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza impugnata in punto di penale responsabilità, riducendo la durata delle pene accessorie comminate in primo grado.
Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.
Contro la sentenza resa dalla Corte distrettuale di Napoli interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato che articolava plurimi motivi di ricorso per denunciare vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata.
Per quanto qui di interesse, con una articolazione difensiva, veniva censurato il capo di sentenza che aveva ritenuto provata la condotta di bancarotta impropria da operazioni dolose nonostante la carenza degli elementi costitutivi del reato con particolare riferimento alla componente psicologica.
La Corte regolatrice ha accolto il ricorso limitatamente al motivo di impugnazione sopra indicato.
Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:
“Ciò che piuttosto non soddisfa è il contenuto di quell’integrazione: la corte territoriale, a fronte di una motivazione del tutto carente in primo grado che faceva solo un cenno alla forte esposizione debitoria ovvero al debito erariale per oltre 43 milioni di euro che aveva indotto l’insorgenza della procedura fallimentare – si limita a poche righe , dando, quasi, per scontato che vi siano state delle operazioni dolose causative del fallimento, senza soffermarsi adeguatamente sulla loro natura, sulle caratteristiche che le contraddistinsero, sul contesto in cui intervennero, sulla entità della loro eventuale protrazione nel tempo e sulla incidenza che ebbero sul fallimento, senza dare specifico conto della loro riconducibilità all’imputato, quale amministratore della società poi fallita.
Il giudice del rinvio dovrà quindi procedere a un nuovo esame della fattispecie, alla luce dei parametri fattuali evincibili dagli atti e di quelli in diritto affermati da questa Corte in materia di bancarotta impropria per operazioni dolose, primo tra tutti il principio secondo cui: in tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui all’art 223, comma secondo, n. 2, L. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Rv. 261684) in applicazione del principio, questa Corte ha ritenuto corretta la qualificazione di operazione dolosa data nella sentenza impugnata al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società; Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, Rv. 273337 – 01); fermo restando che l’assenza di risorse di cassa – pure indicata dalla difesa come circostanza da verificare quale eventuale giustificazione del mancato pagamento del debito erariale – ovviamente non può assurgere a fattore giustificativo dell’inadempimento ove risulti come questo sia piuttosto da attribuire ad una volontaria e sistematica condotta inadempiente e non a contingenti evenienze di cassa deficitarie (trattandosi peraltro di fattispecie di reato a dolo generico)”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA