Il dolo specifico del reato di omessa dichiarazione può essere provato anche dal successivo comportamento del contribuente che non paga le tasse dovute.

Segnalo sentenza numero 44658.2022 – depositata il 24.11.2022, con la quale la Corte di Cassazione   sezione terza penale, chiamata allo scrutinio di legittimità su una ipotesi di reato di omessa dichiarazione, ha ritenuto di dare continuità all’orientamento giurisprudenziale  secondo il quale, la prova del dolo di evasione, può essere ricavata anche dal comportamento tenuto dall’imputato successivamente alla consumazione dell’illecito fiscale.

Nel caso di specie, la Suprema Corte, ha ritenuto scevra da vizi la decisione della Corte territoriale  di appello che aveva denegato la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale richiesta dalla difesa con l’atto di appello, finalizzata ad esaminare, come teste a discarico, il commercialista dell’imputato sulla circostanza della interruzione unilaterale del rapporto professionale senza aver presentato i dichiarativi fiscali.

Secondo la Corte di legittimità, la suddetta circostanza, anche nell’ipotesi in cui fosse stata positivamente acquisita come prova orale nel corso del processo, sarebbe stata ininfluente per escludere la componente psicologica del reato, tenuto conto del comportamento reiteratamente inadempiente del giudicabile tenuto anche dopo la scadenza del termine di legge per presentare le dichiarazioni (iva ed irpef), fatto questo che  dimostrava la volontà del prevenuto di sottrarsi all’obbligo fiscale e quindi la coscienza e volontà di voler evadere l’obbligo fiscale.

 

Il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte di appello di Perugia confermava integralmente la sentenza emessa dal Tribunale cittadino nei confronti dell’imputato in relazione alla commissione del reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n.74 del 2000, per avere omesso di presentare le dichiarazioni annuali dei redditi relative all’anno di imposta 2011, in tal modo evadendo le imposte dirette in misura pari ad euro 89.579,00 e quella sul valore aggiunto in misura pari ad euro 115.808,00.

 

Il giudizio di legittimità ed il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale, la difesa interponeva ricorso per cassazione denunciando vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata.

Per quanto qui di interesse, con una articolazione difensiva, veniva stigmatizzata la erroneità della sentenza di appello nella parte in cui non aveva accolto la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale che avrebbe consentito di accertare la mancanza di colpevolezza in capo all’imputato per essere il fatto omissivo dovuto a fatto e colpa del commercialista.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi  di maggiore interesse estratti dalla trama argomentativa della sentenza in commento:

“Infatti, quanto al vizio di motivazione del punto della sentenza impugnata riguardante la dimostrazione della sussistenza in capo al ricorrente del dolo specifico riferito alla volontà di omettere, successivamente alla omissione dichiarativa, anche il versamento delle imposte dovute, si consideri che la Corte territoriale ha segnalato la circostanza che il [omissis], oltre ad omettere la presentazione delle dichiarazioni in questioni ha, appunto, anche omesso il pagamento delle imposta; giova, sul punto, richiamare, condividendola appieno e ritenendo di dover dare ad essa la opportuna continuità, l’indicazione promanante dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la dimostrazione del dolo specifico di omissione tributaria è ricavabile anche dal comportamento tenuto dal contribuente nel periodo successivo all’omessa dichiarazione, quando, cioè ha reiterato la condotta omissiva, trascurando anche il pagamento delle imposte dovute.

Come, infatti, questa Corte ha in più occasioni rilevato, in tema di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte del professionista a ciò incaricato, la prova del dolo specifico in capo al contribuente può desumersi anche dal comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 maggio 2020, n. 16469)”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA