Omissione atti di ufficio per il medico di continuità assistenziale che non si reca a visitare l’anziana paziente nella sua abitazione.
Segnalo la sentenza numero 45057.2022 – depositata il 24.11.2022, resa dalla sezione sesta penale della Corte di Cassazione, che si è pronunciata su un caso di omissione di atti d’ufficio commesso dal medico di continuità assistenziale (già definito come guardia medica).
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, si è soffermata sul perimetro applicativo del reato contro la pubblica amministrazione ascrivibile al sanitario del servizio pubblico, enunciando i presupposti per il riconoscimento della penale responsabilità del professionista sanitario, con particolare riferimento ai presupposti ed ai limiti che informano il giudizio sulla discrezionalità dell’intervento domiciliare.
Nel caso di specie, la Corte di legittimità, ha ritenuto esente da vizi la sentenza impugnata, che aveva correttamente posto in evidenza come l’inerzia del medico – oggetto di imputazione – integrava gli elementi costitutivi della norma incriminatrice, considerato il mancato approfondimento per altre vie delle condizioni di salute della paziente, bene giuridico protetto dal reato di pericolo previsto e punito dall’art. 328 c.p.p..
L’imputazione ed il doppio grado di merito.
La Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riduceva la pena principale e la pena accessoria inflitte all’imputato per omissione di atti d’ufficio (art. 328 cod. pen.), confermandone la penale responsabilità.
Secondo quanto contestato dalla Procura ed accertato concordemente dai giudici del merito, il giudicabile, tratto a giudizio nella sua qualità di medico di continuità assistenziale, si era rifiutato di recarsi presso il domicilio di una paziente di età avanzata, impossibilitata a muoversi e di cui il figlio, nella telefonata al 118, aveva denunciato gravi difficoltà respiratorie.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità ed il principio di diritto.
Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato articolando plurimi motivi di impugnazione contestando i presupposti della accertata responsabilità penale.
In particolare, secondo la tesi difensiva, il fatto che in un secondo momento altro medico si fosse recato ad eseguire la visita domiciliare ed avesse accertato l’assenza di imminenti e gravi rischi per la salute della paziente, somministrandole una terapia antibiotica per la bronchite, escludeva la sussistenza del
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Di seguito si riportano il passaggio estratto dalla trama argomentativa della sentenza in commento che individua gli elementi costitutivi della norma incriminatrice:
“……La censura del ricorrente riguarda, infatti, soltanto la mancanza del requisito dell’urgenza, insito nella necessità – secondo il dettato dell’art. 328 cod. pen. – che l’atto vada «compiuto senza ritardo».
Premesso che, sul punto, la giurisprudenza di legittimità riconosce pacificamente la connotazione discrezionale della valutazione del medico, riservando tuttavia al giudice il potere di sindacarla quando emergano elementi che evidenzino l’evidente erroneità di quest’ultima (in tal senso, ex aliis: Sez. 6, n. 23817 del 30/10/2012, dep. 2013, Tomas, Rv, 255715; Sez. 6, n. 12143 del 11/02/2009, Bruno, Rv. 242922; Sez. 6, n. 34047 del 14/01/2003, Miraglia, cit.), si rileva che nel giudizio in esame, tale potere è stato esercitato dal giudice dell’appello, là dove scrive: «È evidente che, nel caso di specie, il quadro clinico descritto dall’utente avrebbe imposto di recarsi immediatamente al domicilio della malata, affetta da difficoltà respiratorie in un contesto di età avanzata e frattura alle costole».
Il ricorrente reputa tale motivazione apparente e contraddittoria, posto che – osserva – la valutazione dell’imputato, che aveva evidentemente escluso l’urgenza della visita, era risultata ex post corretta, essendo stata validata dal collega, che, all’esito della visita, aveva confermato il codice bianco assegnato dalla centralinista la quale diramava le telefonate in entrata al 118.
Quest’ultima notazione tralascia però di considerare – ed in ciò consiste il profilo di inammissibilità del ricorso – come su questo aspetto il giudice di appello abbia fornito una risposta puntuale, con motivazione completa ed esente da vizi di illogicità.
In sentenza si trova infatti replicato che, in tanto il suddetto codice bianco era stato confermato, in quanto il secondo medico, che si era recato a seguito della inerzia dell’imputato a casa della donna, diagnosticandole una bronchite, aveva prescritto «idonea terapia».
Dunque, premesso che l’omissione di atti d’ufficio ha natura di reato di pericolo, sulla base della ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito – ricostruzione, non sindacabile dalla Corte di cassazione – tale pericolo (nel caso di specie, per la salute dell’assistito) sussisteva al momento della realizzazione della condotta omissiva, a nulla rilevando la sua successiva neutralizzazione ad opera di un terzo (nella specie, il secondo medico contattato).
Per la stessa ragione, manifestamente infondata risulta altresì la deduzione formulata nel secondo motivo di ricorso, tesa a negare la sussistenza del dolo, poiché l’imputato non si sarebbe rappresentato la necessità di compiere l’atto senza ritardo, non avendo egli ritenuto urgente la condizione clinica della donna.
Infatti, in base alla ricostruzione operata dai giudici di merito, l’indifferibilità dell’atto dell’ufficio era ragionevolmente ipotizzabile al momento della telefonata, alla luce delle circostanze del fatto (quali le condizioni e l’età della donna, nonché la tipologia di sintomi riferita dal figlio), con la conseguenza che il soggetto agente non poteva che essersela rappresentata.
Né, come ovvio, può incidere sull’elemento soggettivo, elidendolo, la circostanza che — sempre sulla base della ricostruzione fattuale del giudice di appello, insindacabile in quanto compiutamente e coerentemente motivata — il pericolo fosse venuto meno, per effetto del successivo intervento, in chiave terapeutica, del secondo medico di continuità assistenziale”.
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Per un approfondimento sul tema della responsabilità del medico di guardia (secondo la nuova definizione medico della continuità assistenziale), segnalo altri contributi pubblicato sul blog dello studio: https://studiolegaleramelli.it/2020/03/23/risponde-di-omissione-di-atti-dufficio-la-guardia-medica-in-servizio-che-rifiuti-di-aderire-alla-richiesta-di-visita-domiciliare-malgrado-abbia-ravvisato-il-carattere-di-urgenza-dell-2/ (sempre sul rifiuto di atti di ufficio- 328 cod. pen); https://studiolegaleramelli.it/2022/03/29/omicidio-colposo-per-la-guardia-medica-che-non-presta-i-primi-soccorsi-ad-un-paziente-colpito-da-infarto/ (reato di omicidio colposo 589 cod. pen.).
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA