La distrazione di beni sociali ed il reimpiego degli stessi in altre società riferibili agli stessi indagati configura il reato di autoriciclaggio.

Segnalo la recente sentenza numero 44733.2022, con la quale la Corte di Cassazione – sezione seconda penale, chiamata allo scrutinio di legittimità in sede cautelare reale su una ipotesi di autoriciclaggio, avente come reato presupposto una bancarotta fraudolenta patrimoniale, ha confermato sia la corretta contestazione agli indagati del reato previsto e punito dall’art. 648 ter 1cod. pen. per avere, i medesimi soggetti, reimpiegato beni già facenti parte del patrimonio della società fallita in altra società a loro riconducibile, sia la esatta quantificazione del profitto del reato contro il patrimonio pari al valore dei beni illecitamente distaccati dal patrimonio sociale della società fallita e reimpiegati in altre imprese facenti capo al medesimo gruppo

 

L’imputazione provvisoria ed il giudizio cautelare di merito

Il Tribunale cautelare  di Roma, in accoglimento della richiesta di riesame presentata dagli indagati, annullava il decreto emesso dal G.i.p. con il quale era stato disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta o per equivalente, della somma di 2.333.840 euro quale profitto del reato di autoriciclaggio in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Secondo quanto è dato ricavare dalla lettura della sentenza in commento, il Tribunale per il riesame dei provvedimenti di sequestro, aveva ritenuto destituita di fondamento la tesi ventilata dalla Procura romana ed accolta dal Giudice per le indagini preliminari secondo la quale, il profitto del reato di autoriciclaggio, doveva coincidere con il valore dei beni distratti dalla società fallita  e poi reimpiegati in altre imprese collettive ad opera degli stessi soggetti destinatari del provvedimento ablatorio.

Secondo il Collegio cautelare di Roma la superiore impostazione non poteva essere accolta perché faceva illegittimamente coincidere il profitto del delitto di autoriciclaggio con quello del reato presupposto di bancarotta per distrazione.

 

Il giudizio di legittimità ed il principio di diritto.

Contro l’ordinanza  resa dal Tribunale per il riesame interponeva ricorso per Cassazione l’Ufficio del PM denunciando il vizio di legge del capo del provvedimento riferito alla individuazione del profitto del reato punito dall’art. 648 ter n.1 cod. pen.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso annullando con rinvio il provvedimento impugnato.

Di seguito si riportano i passaggi  di maggiore interesse estratti dalla trama argomentativa della sentenza in commento:

La valutazione del Tribunale non è condivisibile, avendo in primo luogo trascurato di considerare la particolarità del caso in cui delitto presupposto del reato di autoriciclaggio sia quello di bancarotta per distrazione di un’azienda, vale a dire di un bene che, in virtù delle sue intrinseche caratteristiche “dinamiche”, sia idoneo a determinare l’impiego dell’utilità illecita conseguita in attività economiche o finanziarie.

In proposito si è affermato che proprio «l’esercizio di una attività imprenditoriale attraverso l’azienda oggetto della distrazione, configura il reato di autoriciclaggio sub specie di impiego in attività economiche ovvero finanziarie dell’utilità di provenienza illecita (in tal modo si “cristallizza il collegamento tra la condotta “riciclatrice” ed una “gestione” di utilità economiche già acquisite con una condotta a sua volta punibile […])» (così Sez. 2, n. 37503 del 21/06/2019, Correnti, Rv. 277514; in senso conforme, da ultimo, v. Sez. 5, n. 22143 del 14/03/2022, Lo Greco, non mass. sul punto).

Nel caso di specie, poi, l’ordinanza impugnata ha obliterato un dato fondamentale rimarcato dal G.i.p.: con l’azienda poi fallita [omissis], che al momento della distrazione aveva un valore quantificato in 2.333.840 euro, la [omissis], società anch’essa appartenente al gruppo [omissis] , proseguì l’attività d’impresa in continuità, con un valore stimato in 7.749.697 euro, di molto superiore.

L’attività imprenditoriale, poi, proseguì ancora con i successivi trasferimenti ad altre società, sino agli ultimi in favore delle società cloni, la [omissis]  e la [omissis]., costituite nel 2016 e 2017 e operative dal 2018, circostanza che – secondo la prospettazione accusatoria, recepita dal G.i.p. e confermata nell’ordinanza impugnata – ha reso possibile la contestazione del reato di autoriciclaggio.

Ne consegue che la valutazione del Tribunale in ordine alla erronea quantificazione del pure riconosciuto profitto del reato di autoriciclaggio è inficiata dalla omessa considerazione – di qui la violazione di legge per mancanza di motivazione – in ordine al valore stimato della prima cessionaria, la cui attività imprenditoriale proseguì poi con le successive società del gruppo, tutte riferibili a [omissis]”

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA