La Cassazione annulla la sentenza di condanna per omicidio colposo se le qualifiche di datore di lavoro e di preposto di fatto non risultano debitamente provate.

Segnalo la sentenza numero 46664.2022 – depositata il 12/12/2022, resa dalla sezione quarta penale della Corte di Cassazione, che si è pronunciata su un processo nell’ambito del quale era stata affermata la penale responsabilità degli imputati conseguente ad un incidente sul lavoro causa del decesso dell’operaio infortunato.

Nel caso di specie, la Suprema Corte, ha annullato la sentenza di appello che aveva confermato quella di condanna emessa in primo grado, nei confronti di due imputati ritenuti responsabili di cooperazione in omicidio colposo nelle loro rispettive qualità di datore di lavoro e preposto di fatto.

Secondo la decisione assunta dal Collegio di legittimità, il giudizio di responsabilità espresso con le concordi sentenze di merito non era corroborato da adeguata motivazione in ordine al ruolo effettivamente rivestito da ciascuno degli imputati in cantiere, fonte della posizione di garanzia ascritta ai giudicabili con la richiesta di rinvio a giudizio.

 

L’incidente sul lavoro, il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.

L’imputazione era stata elevata a carico degli imputati per aver cagionato, in cooperazione tra loro e con l’amministratore della società (datrice di lavoro), la morte di un dipendente della società senza formale assunzione, che nello svolgimento delle proprie mansioni, inerenti alla preparazione del calcestruzzo, aveva riportato lesioni personali conducenti al decesso a causa dell’inidoneità del macchinario (betoniera) in quanto privo dei previsti presidi di sicurezza.

La Corte d’appello di Bari pur dichiarando l’estinzione per prescrizione di taluni reati, confermava il giudizio di responsabilità degli imputati rinviati a giudizio nelle loro rispettive qualità di datore di lavoro e preposto di fatto con riferimento al delitto di omicidio colposo del lavoratore di cui agli artt. 589, comma secondo, e 113, cod. pen., rideterminando la pena all’esito del bilanciamento tra circostanze ex art. 69 cod. pen. in termini di equivalenza e confermando le statuizioni civili.

 

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza della Corte distrettuale di Bari interponeva ricorso per cassazione la difesa degli imputati, lamentando vizio di motivazione in ordine alla ritenuta (da parte dei giudici di merito) qualità di preposto e datore di lavoro di fatto, come tali ritenuti corresponsabili con il legale rappresentante della società dell’evento di danno da cui era derivato il decesso della vittima del reato.

La Corte regolatrice ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riporta il passaggio estratto dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

“Orbene, premesso quanto innanzi, deve rilevarsi che, nonostante specifiche doglianze proposte con i motivi d’appello, la Corte territoriale ha omesso altrettanti specifici riferimenti ai concreti elementi che sarebbero stati posti alla base della ritenuta responsabilità dei due imputati in termini di datore di lavoro di fatto, [omissis], e di Preposto di fatto, [omissis], limitandosi invece a un generico riferimento alle risultanze della relazione dei funzionari SPRESAL dell’ASL, senza esplicitazione alcuna in merito ad esse, oltre che all’organigramma aziendale, anch’esso ignoto nella sua concreta essenza.

L’assenza di riferimenti nei termini di cui innanzi circa i concreti elementi emergenti dalla relazione e dall’organigramma, peraltro, rendono sterile nella specie, circa la posizione di [omissis], il riferimento alla descritta accertata situazione fattuale.”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA