La carenza di liquidità non può essere invocata dall’imprenditore come giustificazione valida ad evitare la condanna per la mancata messa in sicurezza dei luoghi di lavoro.
Segnalo la recente sentenza numero 45433/2022, resa dalla Corte di Cassazione – sezione terza penale che si è pronunciata sulla questione giuridica della rilevanza che può assumere in sede penale la indisponibilità da parte dell’imputato delle somme necessarie per pagare la sanzione amministrativa comminata dall’organo di vigilanza al datore di lavoro, resosi responsabile di violazioni dettate dal d.lgs. n.81/2008.
Secondo quanto si può ricavare dalla lettura della sentenza in commento, il Tribunale di Agrigento, nel corso del dibattimento, aveva accertato il fatto di reato in contestazione, il successivo adeguamento per iniziativa dell’imputato dei luoghi di lavoro alle misure di sicurezza prescritte dagli ispettori in sede di controllo del cantiere e, di converso, il mancato pagamento dell’ammenda a titolo di oblazione (che avrebbe determinato l’estinzione del reato) da parte del medesimo giudicabile.
Conseguentemente veniva affermata la penale responsabilità dell’imputato per i reati a lui ascritti.
Con il ricorso per cassazione venivano denunciati plurimi vizi di legittimità.
Per quanto di interesse per la presente nota con una articolazione difensiva, veniva censurata la mancata valutazione da parte del giudice di primo grado della documentata impossibilità di adempiere da parte del soggetto obbligato per carenza di disponibilità economica.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dando continuità all’orientamento consolidato che esclude ogni rilevanza alla deteriore condizione economica dell’imputato in quanto non assimilabile alla forza maggiore dovuta a malattia.
Di seguito si riportano i passaggi tratti dalla parte motiva della sentenza in commento di interesse per la presente nota:
“Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Secondo la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, introdotta dagli artt. 19 ss. D.Lvo 758/1994, il Giudice, prima di pronunciare sentenza di condanna per una delle violazioni ivi previste, deve accertare che si siano regolarmente svolti tutti i passaggi della procedura stessa, costituente condizione di procedibilità dell’azione penale.
Nel caso concreto, l’organo di vigilanza ha impartito al contravventore le apposite prescrizioni fissando il termine per adempiere e successivamente ha constatato che la violazione era stata eliminata secondo le modalità imposte; indi, ha invitato il contravventore al pagamento della sanzione amministrativa.
La mancata corresponsione della somma necessaria a titolo di oblazione ha determinato la conseguenza che il procedimento riprendesse il suo corso, atteso che è solo con il congiunto adempimento da parte del contravventore di entrambi gli incombenti, ovverosia l’eliminazione delle violazioni per effetto della successiva regolarizzazione ed il successivo pagamento della sanzione amministrativa, che il reato si estingue (art. 24, 1° comma, cfr. in motivazione Sez. 3, n. 45737 del 23/02/2017 Rv. 271410 – 01).
In altri termini, per quanto di interesse, a fronte del reato, consumato, il pagamento della sanzione in sede amministrativa partecipa solo della fase, sopravvenuta ed eventuale, di estinzione del reato.
Pertanto è del tutto infondato inferire dalla ritenuta sussistenza di condizioni ostative al predetto pagamento, l’assenza dell’elemento soggettivo del reato e dedurre, nel caso di specie, vizi di violazione di legge e di motivazione riguardo al profilo soggettivo del reato.
Va aggiunto, per completezza, che la deduzione di una impossibilità di procedere al pagamento in questione non può di per sé scusare, per cui anche se rapportata al tema della mera estinzione del reato la censura proposta, fondata su una asserita incapienza dell’imputato, integra una questione giuridica manifestamente infondata per la quale opera il principio per cui il vizio di motivazione non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti.
In particolare occorre sottolineare in proposito che nelle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, ricorre un’ipotesi di forza maggiore, che scusa l’inosservanza degli adempimenti cui è condizionata l’estinzione del reato ad esito della procedura di cui all’art. 24 D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, esclusivamente nel caso – diverso da quello dedotto – in cui l’interessato versi in uno stato patologico di tale gravità da determinarne, per tutta la durata, un’assoluta incapacità di intendere e di volere, in grado di impedirgli anche solo di dare disposizioni ad altri per l’adempimento (Sez. 7, Ordinanza n. 10083 del 25/11/2016 (dep. 01/03/2017)Rv.269209-01).
Entro tale linea di indirizzo si è altresì precisato che il sopravvenuto stato di liquidazione societaria, nemmeno se determinato da difficoltà finanziarie, costituisce causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato adempimento alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza nell’ambito della procedura di estinzione prevista, in materia di infortuni sul lavoro, dal D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 (Sez. 3, Sentenza n. 24410 del 05/04/2011 Rv. 250805 – 01), e che la sopravvenuta dichiarazione di fallimento del contravventore, ammesso alla procedura di estinzione dei reati antinfortunistici o in materia di igiene del lavoro (art. 24, D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758), non costituisce impedimento rilevante, idoneo a giustificare il mancato espletamento della procedura estintiva (Sez. 3, n. 44399 del 28/09/2011 Rv. 251324 – 01).
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA.