La dichiarazione di avvenuto pagamento del debito fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria dello Stato esclude la possibilità di mantenere in essere il sequestro preventivo per reati tributari.

Segnalo la sentenza numero 41609/2022 – depositata il 04/11/2022, resa dalla Corte di Cassazione -sezione quarta penale, che si è pronunciata sulla possibilità o meno di mantenere in essere il sequestro preventivo disposto in relazione al profitto dei reati tributari, quando la società, che secondo l’editto accusatorio avrebbe beneficiato dell’illecito risparmio di imposta, ha estinto il debito tributario a seguito di accertamento di adesione concordato con l’Agenzia delle Entrate.

L’intera fase cautelare è stata patrocinata da chi scrive ed è pervenuta alla pronuncia rescindente sopra indicata dopo una articolata vicenda processuale che aveva già portato ad un precedente annullamento da  parte della Suprema Corte – sezione terza penale  con la sentenza  numero 25792.2021,depositata il 07 luglio 2021, già commentata sul blog del sito, per avere riconosciuto la validità, in sede penale (esclusa dai Giudici del merito) dell’istituto della compensazione tributaria come strumento di pagamento valido ai sensi e per gli effetti previsti dall’art. 12 bis d.lgs. n.74/2000.

La Corte di legittimità, con la pronuncia in commento, accogliendo la tesi del ricorrente, ha ritenuto che in ragione del venire meno della pretesa tributaria a seguito dell’avvenuto pagamento di quanto concordato tra le parti in sede di accertamento con adesione, il Collegio cautelare, investito della decisione con l’appello ex art. 322 bis c.p.p., avrebbe dovuto tenere conto che dall’importo totale del profitto di reato riportato nel decreto di sequestro preventivo, doveva essere decurtata di una somma pari all’intera annualità oramai definita in sede amministrativa.

 

Il reato contestato e il giudizio cautelare reale di merito.

Nel caso di specie all’indagato è stato contestato il concorso nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ex art.2 D.lgs.74/2000 nella qualità di amministratore di fatto della società di capitali che avrebbe conseguito il profitto del reato per effetto della frode fiscale.

Il denaro del prevenuto nella fase delle indagini preliminari veniva attinto dalla misura cautelare del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato tributario per la parte eccedente il sequestro preventivo diretto eseguito sul patrimonio dell’impresa collettiva.

Le imposte dirette ed indirette dovute all’Erario venivano rideterminate in sede di accertamento con adesione concordato l’Agenzia delle entrate e il contribuente (la società) procedeva al pagamento del debito conseguente attraverso compensazione con crediti vantati nei confronti del Fisco.

Il Tribunale del Riesame di Roma, quale Giudice del rinvio, riceveva di nuovo il fascicolo processuale  e dopo il primo annullamento da parte del Supremo Consesso (per approfondimenti:   https://studiolegaleramelli.it/2021/07/16/sequestro-preventivo-e-accertamento-con-adesione-il-pagamento-del-debito-mediante-compensazione-tributaria-che-segue-latto-conciliativo-elide-il-presunto-profitto-del-reato-fiscale/ ), riconosceva  valore di pagamento alla compensazione tributaria e disponeva la riduzione del sequestro limitatamente alle componenti IRES ed IVA pagate.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità ed il principio di diritto

La difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per il Riesame dei provvedimenti cautelari di Roma, articolando due motivi di gravame.

Ai fini del presente commento, riveste particolare interesse il primo motivo di doglianza con la quale il ricorrente censurava l’impugnata decisione nella parte in cui il Collegio cautelare romano aveva omesso di motivare (da qui la violazione di legge denunciabile ex art. 325 c.p.p.) sull’effetto estintivo del profitto del reato indicato per l’anno 2013 conseguente al riconoscimento da parte dell’Agenzia delle Entrate dell’integrale pagamento delle imposte, interessi e sanzioni per il medesimo periodo di imposta.

La Corte regolatrice ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato con rinvio l’ordinanza impugnata:

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

“…Si tratta, dunque, di chiarire i rapporti fra cautela reale prodromica alla confisca e cessazione della pretesa tributaria per volontà del creditore e, con riferimento specifico al caso in esame, di stabilire se l’atto di adesione e il pagamento del debito così come rideterminato dalla amministrazione determini il venir mendo del profitto del reato in relazione all’anno di imposta 2013.

In proposito la Corte di Cassazione nella sentenza rescindente ha espressamente osservato che la confisca della somma di denaro costituente il profitto del reato in contestazione è misura di sicurezza rispetto alla quale il sequestro preventivo ha funzione strumentale e che essa presuppone appunto la realizzazione di un profitto attraverso la commissione dell’illecito.

Laddove il debito tributario sia stato adempiuto, la confisca ex art. 12 bis Dlgs n. 74/2000, non avendo il reato comportato la realizzazione di alcun profitto, non avrebbe ragione di essere.

Questa Corte, invero, ha precisato che in materia di confisca di beni costituenti il profitto o il prezzo di reati tributari, la previsione di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015, secondo la quale, anche in caso di condanna o di applicazione della pena concordata, la confisca, diretta o per equivalente, “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, si riferisce alle assunzioni d’impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore, ivi compresi gli accertamenti con adesione, conciliazione giudiziale, le transazioni fiscali ovvero l’attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda (Sez 3 n. 28225 del 07/07/2016, n. 28225 non massimata).

In tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 39187 del02/07/2015 , Lombardi Stronati, Rv. 264789).

A tale fin si è sostenuto che il principio del “doppio binario”, secondo cui le determinazioni assunte dall’Agenzia delle Entrate non sono vincolanti per il giudice penale trova applicazione in relazione alla sussistenza degli elementi tipici di questo o quell’illecito penale tributario, ma non relativamente alla determinazione del profitto del reato, laddove il creditore, ossia l’Agenzia delle Entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto dal contribuente, dichiari di non aver più nulla da pretendere dal contribuente medesimo (-sez 3 n. 32213 del 9.5.2018 non massimata).

Così in materia di “sgravio” da parte della amministrazione finanziaria si è sostenuto che sia privo di giustificazione il mantenimento del sequestro in assenza di qualsivoglia attuale pretesa erariale, sembrando non esservi nell’attualità nulla da salvaguardare a seguito non solo dell’annullamento degli avvisi di accertamento ma anche del conseguente sgravio del debito tributario, ciò che manifesterebbe l’assenza appunto attuale di pretese erariali, rendendo quindi illegittimo il sequestro funzionale alla confisca per equivalente di un profitto in atto inesistente ( così, in motivazione, Sez. 3 n. 39187 cit.)

Il Tribunale, in ragione del venire meno della pretesa tributaria per l’anno 2013 a seguito dell’avvenuto pagamento di quanto concordato tra le parti del negozio giuridico fiscale, avrebbe dovuto tenere conto che dall’importo totale del decreto di sequestro preventivo doveva essere decurtata una somma pari all’ammontare del profitto del reato per la presunta frode fiscale riferita all’anno 2013, originariamente calcolato in euro 758.373, 40 con la conseguenza che il profitto del reato doveva essere ricalcolato nella misura di euro 1.738.415,67.

Essendo stati sequestrati alla società [omissis] srl, beni per un ammontare pari ad euro 1.648.144,32, il sequestro per equivalente sui beni del ricorrente [omissis] doveva essere mantenuto, fino alla concorrenza dell’ammontare dell’intero profitto, per la quota non coperta dai beni della società”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA