Confermata la responsabilità del medico di bordo della nave da crociera che non dispone il trasferimento a terra del paziente colpito da ischemia.
Segnalo la sentenza numero 47804/2022 – depositata il 19.12.2022 con la quale la Corte di Cassazione – sezione terza penale, è tornata a pronunciarsi sulla corretta applicazione del giudizio controfattuale nei reati colposi omissivi di evento (lesioni od omicidio colposo), quale strumento logico – giuridico che il giudice di merito deve seguire per la individuazione dell’esistenza del nesso causale tra l’inerzia del sanitario ed il danno al bene della salute del paziente, ovvero la lesione di quello della vita, come avvenuto nel processo scrutinato dal Supremo Consesso.
Nel caso di specie, la Corte di legittimità, seppure solo ai fini civilistici, attesa l’intervenuta prescrizione del reato di omicidio colposo nelle more del processo articolato in ben cinque gradi di giudizio, ha ritenuto censurabile l’operato del medico per non avere adottato la decisione sbarcare il paziente a terra affinché potessero essere a lui prestate quelle attività di diagnosi e cura in adeguata struttura sanitaria che, secondo quanto accertato in sede peritale, avrebbero garantito al malato significative chances di sopravvivenza.
Il caso clinico, l’imputazione e la vicenda processuale.
L’imputato è stato tratto a giudizio per il reato di omicidio colposo perché, in qualità di medico di bordo in servizio su una nave da crociera in navigazione nelle acque della Groenlandia, veniva accusato di non aver effettuato la corretta diagnosi, non avere somministrato idonea terapia e non avere disposto il tempestivo trasferimento del paziente presso centro attrezzato; condotta omissiva che secondo la Procura di Milano era da considerare causa efficiente della morte del paziente colpito da ischemia cerebrale acuta a bordo del natante (preceduta da due episodi di attacchi ischemici transitori – T.I.A.), poi deceduto per tale patologia presso il nosocomio di Milano ove era stato trasferito d’urgenza con elisoccorso.
Il Tribunale di Milano ha giudicato colpevole l’imputato del reato a lui ascritto, mentre la Corte territoriale cittadina ha riformato la sentenza di primo grado assolvendolo con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, valutando la correttezza della scelta diagnostica del medico e della terapia farmacologica da lui somministrata sulla nave da crociera.
Proponevano ricorso per cassazione contro la sentenza di appello il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano e la parte civile, che venivano accolti dalla Suprema Corte con la sentenza rescindente numero 21036/2018, depositata l’11.05.2018, da me commentata in precedenza su questo sito (per eventuali approfondimenti: https://studiolegaleramelli.it/2018/05/28/limportanza-del-giudizio-controfattuale-nellaccertamento-del-nesso-di-causalita-nei-reati-di-evento-ascrivibili-al-sanitario/ ).
Veniva quindi celebrato il secondo giudizio di appello innanzi la Corte territoriale milanese che riformava quella di assoluzione in precedenza pronunciata dalla medesima Autorità giudiziaria, riconoscendo nella condotta tenuta dall’imputato un profilo di imprudenza per non avere adeguatamente valutato i rischi che la prosecuzione della crociera avrebbe comportato per il viaggiatore colpito da ischemia, qualora si fosse verificato – come poi avvenuto – un evento cardiovascolare più grave: l’ictus accertato come causa prossima del decesso.
Attesa l’intervenuta estinzione del delitto colposo per la maturata per prescrizione, quale conseguenza della accertata responsabilità colposa, venivano confermate le statuizioni civili pronunciate in primo grado.
La decisione della Suprema Corte e il punto di diritto.
Contro la (seconda) sentenza di appello interponevano ricorso per cassazione la difesa dell’imputato e quella della compagnia marittima citata come responsabile che deducevano plurimi vizi della sentenza impugnata.
Per quanto di interesse per la presente nota, con una articolazione difensiva comune alle due difese, veniva denunciato vizio di motivazione in ordine alla ritenuta (da parte della C.D.A) sussistenza del nesso di causalità tra la condotta del sanitario e l’evento morte.
La Corte di legittimità ha rigettato il motivo di ricorso per le ragioni indicate nella parte motiva della sentenza annotata della quale si riportano gli ampi passaggi di interesse per la presente nota:
“….Ritiene dunque il Collegio che la doglianza, formulata sia nel ricorso dell’imputato sia in quello del responsabile civile, in ordine al vizio della motivazione nella parte relativa all’accertamento del nesso causale tra la condotta tenuta dall’imputato e la morte di [omissis], sia infondata.
Il giudice del rinvio ha ritenuto sussistente il nesso causale, riconoscendo un profilo di grave imprudenza nella condotta del Dottor [omissis] per non aver il medesimo deciso il trasferimento, già in occasione del primo attacco ischemico, del paziente in un ospedale sulla terraferma che fosse dotato di unità specializzata in grado di far fronte in maniera tempestiva a un eventuale successivo aggravamento delle condizioni di salute del soggetto.
Sulla base della terapia prontamente somministrata dal medico di bordo, risulta evidente come la diagnosi di T.I.A. (attacco ischemico transitorio, il quale può essere, secondo la letteratura scientifica, un primo “avvertimento” di possibili fenomeni di ictus successivi) era stata correttamente effettuata.
Alla luce di una simile e non rassicurante diagnosi, la regola di prudenza applicabile al caso di specie avrebbe opportunamente richiesto al medico di tenere un comportamento diverso da quello effettivamente tenuto, e cioè quello di assicurarsi che quanto prima il [omissis] potesse essere sottoposto a più specifici accertamenti diagnostici (non praticabili a bordo), così da consentire che potesse essere individuata la causa specifica della lesione e, di conseguenza, la terapia farmacologica o chirurgica più indicata.
Benché le linee guida, sia nazionali che internazionali, nel caso in cui il rischio di ictus a seguito di un primo episodio ischemico acuto sia (come nel caso in esame si riteneva fosse) medio-basso, non indicano quale unica soluzione praticabile la ospedalizzazione, occorreva condurre (e in tal senso il ragionamento condotto dalla Corte territoriale è pienamente logico) una valutazione che tenesse conto delle particolari condizioni logistiche in cui l’imputato si trovava ad operare la sera dell’8 agosto 2011.
Infatti, se sulla terraferma, in zona che permetta di raggiungere un ospedale specializzato in tempi rapidi in caso di aggravamento delle condizioni cliniche del paziente, può considerarsi sufficientemente prudente la condotta del medico che si sia limitato a rispettare le indicazioni contenute nelle linee guida, in un contesto quale quello che viene in rilievo nel caso di specie, e cioè su una nave da crociera al largo delle coste groenlandesi, lontano da qualsiasi complesso ospedaliero con unità specializzata in grado di fornire pronto e potenzialmente salvifico intervento in caso di ulteriore episodio ischemico o, addirittura, di ictus, la prudenza richiesta al medico è maggiore.
La valutazione circa la necessità di adottare la condotta alternativa, poi, non è stata compiuta, a differenza di quanto affermato nel ricorso del responsabile civile, ex post, poiché già la sera dell’8 agosto 2011 l’imputato era consapevole della gravità dell’episodio occorso al [omissis], e, quantomeno alla data del 9 agosto 2011, consapevole del fatto che gli ospedali più facilmente accessibili con rapido trasbordo non sarebbero stati idonei ad assicurare le cure più efficaci in caso di aggravamento delle condizioni di salute del [omissis].
Peraltro, in base alle circostanze emerse nel corso del giudizio (in particolare, dalle dichiarazioni rese da testi univocamente orientate in tal senso), il trasporto in ospedale specializzato era decisamente possibile, anche se non agevole. La sussistenza del nesso causale tra la condotta del medico e l’evento morte del [omissis] è stata affermata a seguito del giudizio controfattuale, che la Corte territoriale ha eseguito in modo approfondito e immune da vizi logici.
Richiamandosi alle dichiarazioni del consulente [omissis], il giudice del rinvio ha ritenuto che, con elevato grado di credibilità razionale, se il [omissis] fosse stato trasportato tempestivamente in ospedale specializzato (come quello di Reykjavík), lo stesso avrebbe potuto essere lì sottoposto ad accertamenti diagnostici mirati, così che potesse essere individuata la causa della lesione e, conseguentemente, la terapia più indicata, la quale, considerate le condizioni cliniche generali del paziente non allarmanti, avrebbe potuto avere un effetto salvifico, in particolare con possibile riduzione del rischio di ictus dell’80-90%.
La Corte d’appello ha, poi, spiegato in modo logico le ragioni per le quali si è discostata dalle conclusioni alle quali era pervenuto il perito [omissis], indicando, in maniera puntuale e specifica su singoli punti della relazione peritale, le ragioni del suo dissenso.
Va, al riguardo ricordato che nel caso in cui il giudice di merito non ritenga di condividere le conclusioni del perito, è tenuto a motivare sulle ragioni del suo dissenso ed è tenuto a chiedere al perito ulteriori chiarimenti, o a disporre una nuova perizia, soltanto nel caso in cui non sia in grado di fornire direttamente spiegazioni in via meramente logica (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 46432 del 19/04/2017, Fierro, Rv. 271924, nonché Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015, dep. 2016, Minichini, Rv. 267566, che, proprio in tema di responsabilità medica, ha spiegato che il giudice di merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d’ufficio è tenuto ad un più penetrante onere motivazionale, illustrando accuratamente le ragioni della scelta operata, in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che evidenzi la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico-scientifico, a partire dalla preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto).
Nel caso in esame la Corte d’appello ha dato conto, contrariamente a quanto sostenuto in entrambi i ricorsi, delle ragioni del proprio dissenso rispetto alle conclusioni del perito [omissis], evidenziando che questi aveva esaminato solamente la potenzialità salvifica della terapia di trombolisi, senza analizzare (tra l’altro in contrasto con quanto richiesto nel quesito peritale) altre possibili terapie (anche chirurgiche) che la diagnostica per immagini avesse in ipotesi rilevato quali le soluzioni migliori per trattare il caso di specie.
È stato anche sottolineato come il Perito abbia fondato la propria indagine su un presupposto erroneo, costituito dalla insussistenza del nesso causale tra la condotta del medico e la morte del [omissis], in quanto i primi sintomi di malessere del paziente sarebbero stati potenzialmente riconducibili a un ventaglio di diagnosi molto vasto (tra cui malori temporanei e non gravi, come emicrania con aura).
In contrasto con quanto ritenuto dal perito, risulta invece inequivocabilmente certo che l’imputato aveva compreso che i sintomi del [omissis] erano riconducibili a T.I.A., poiché la terapia prontamente somministrata al paziente era perfettamente coerente con una simile diagnosi, e non invece con tutte le altre che il perito afferma far parte di quel ventaglio di patologie possibili, cosicché sono state ritenute condivisibili le conclusioni alle quali è pervenuto il consulente delle parti civili prof. [omissis], che ha condotto la propria indagine, in ordine alla probabilità, in caso di condotta alternativa tenuta dal Dottor [omissis], che l’evento infausto non si sarebbe verificato, tenendo conto di tutte le possibili terapie che, a seguito di una approfondita analisi diagnostica della patologia del paziente, avrebbero potuto essere apprestate per evitare la morte del [omissis].
Tale motivazione costituisce corretta applicazione dei criteri ricordati, in quanto la Corte d’appello ha motivato adeguatamente circa le ragioni che l’hanno indotta a discostarsi dalle conclusioni del perito, e a basare il proprio giudizio sui passaggi logici di carattere scientifico contenuti nelle dichiarazioni del consulente prof. [omissis].
Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza dei rilievi sollevati con il primo motivo di entrambi i ricorsi”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA.