La Cassazione annulla la sentenza di appello di condanna per omessa dichiarazione che non considera le note di credito perché prive di vidimazione.

Segnalo la sentenza numero 918/2023 depositata il 13/01/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale si è nuovamente pronunciata sul reato di omessa dichiarazione affrontando l’interessante questione giuridica  della valenza probatoria delle note di credito depositate dalla difesa nel corso del processo penale. 

Secondo la concorde valutazione dei giudici di merito l’imputato era stato ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 5 del d. Igs. n. 74 del 2000, a lui contestato perché, quale titolare di partita iva esercente l’attività di tinteggiatura e posa in opera di vetrate, ometteva di presentare, essendovi obbligato, la dichiarazione per l’anno di imposta 2011, evadendo l’irpef per un valore complessivo di 57.240,00 euro e l’iva per l’importo di 60.115 euro. 

Dalla lettura della sentenza in commento emerge che la difesa, per dimostrare la erronea ricostruzione dei redditi Iva ed Irpef operata dall’Agenzia delle Entrate, aveva depositato sei note di credito attestanti lo storno parziale di diverse fatture in guisa tale da ridurre la base imponibile sulla quale calcolare l’imposta evasa in danno dell’Erario. 

I giudici di merito non avevano preso in considerazione i suddetti documenti fiscali perché informi in quanto privi di vidimazione. 

La Corte di legittimità, con la sentenza annotata, ha accolto il motivo di ricorso con il quale la difesa aveva sostenuto che la vidimazione è attualmente prevista solo per i libri sociali obbligatori ex art. 2421 cod. civ., mentre gli art. 8 della legge n. 383 del 2001 e 21 ss. del d.P.R. n. 633 del 1972 non prevedono la vidimazione delle note di credito.   

Di seguito viene riportato il passaggio della motivazione di interesse per il presente commento: 

“L’aspetto critico della motivazione della pronuncia di primo grado, tuttavia, concerne la valutazione della documentazione prodotta dalla difesa riguardante sei note di credito a storno parziale delle fatture precedentemente emesse. 

Sul punto, infatti, il Tribunale (pag. 3 della sentenza di primo grado) ha osservato che la documentazione in esame, acquisita all’udienza dell’8 luglio 2019, non poteva essere ritenuta credibile, in quanto “non accompagnata da una vidimazione da parte di un organo che ne attesti la veridicità”: tale affermazione, tuttavia, è stata contestata dalla difesa nell’atto di appello, nel quale si è sottolineato (pag. 6-7), invero in maniera non manifestamente infondata, che “alcun obbligo di vidimazione in tal senso è configurabile alla stregua della legislazione vigente sul punto”, per cui la produzione delle note di credito doveva essere ritenuta idonea a incidere sulla corretta ricostruzione del reddito dell’impresa di essendo peraltro l’attendibilità dei documenti prodotti dalla difesa corroborata dagli estratti contabili bancari in atti. 

Ora, rispetto a tale censura, si registra nella sentenza impugnata un sostanziale silenzio argomentativo, essendosi la Corte di appello limitata a sostenere, in maniera assertiva, che “il compendio probatorio non risulta affatto scalfito dalle doglianze proposte con l’atto di appello” (pag. 4 della pronuncia gravata), affermazione questa che, per la sua genericità, pare sostanzialmente elusiva della doglianza dedotta che non appariva inammissibile, come invero si desume dall’allegazione delle note di credito compiutamente allegate all’odierno ricorso. 

Sotto tale profilo, in ragione al mancato confronto con la deduzione difensiva in esame, suscettibile di incidere, almeno in via potenziale, sulla conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato, la sentenza impugnata presenta quindi una lacuna motivazionale che ne impone l’annullamento, dovendosi al riguardo richiamare la costante e condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 8947 del 16/02/2016, Rv. 265848), secondo cui il giudizio di appello ha la precisa funzione di garantire non solo il controllo della legittimità della progressione processuale e della tenuta logica della motivazione del primo giudice, ma estende il suo sindacato alla analisi del fatto, ovvero delle prove che accertano il fatto, ovviamente nei limiti del devoluto; la dimensione fattuale della vicenda processuale trova infatti la sua definizione ultima proprio nel giudizio di secondo grado, dato che nessuna ulteriore valutazione è consentita in sede di legittimità fuori della (invero residuale) area del travisamento della prova”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.