E’ legittimo l’utilizzo da parte del Giudice penale delle presunzioni tributarie per affermare la responsabilità dell’evasore fiscale.

Segnalo la sentenza di legittimità numero 2612/2023 depositata il 23/01/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale, che si è pronunciata sul tema giuridico della rilevanza che assumono in sede processuale penale gli accertamenti svolti nel corso dell’indagine penale dalla Guardia di Finanza ovvero, in sede tributaria, quelli condotti dall’Agenzia delle Entrate, per determinare, con strumenti induttivi, il valore delle imposte non versate dal contribuente.

La sentenza in disamina si pone nel solco del dominante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il Giudice penale può utilizzare l’esito degli accertamenti svolti durante le indagini preliminari sempre che dimostri  di averli sottoposti ad autonoma valutazione secondo le regole della formazione della prova dettate dal codice di rito penale. 

Nel caso di specie all’imputato era stato contestato il reato di cui all’art.5 del D.lgs.74/2000 per non aver presentato, pur essendovi obbligato, quale rappresentante legale di una società della quale era il liquidatore all’epoca dei fatti in contestazione, la dichiarazione dei redditi relativa all’annualità del 2014, al fine di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto per importo superiori alla soglia di punibilità.

L’impianto accusatorio veniva ritenuto fondato dai giudici del doppio grado di merito che affermavano, concordemente, la penale responsabilità del giudicabile.

La difesa dell’imputato impugnava la sentenza resa dalla Corte territoriale di Brescia articolando plurimi motivi di ricorso per cassazione; con una censura, per quanti di interesse per la presente nota, veniva contestava la condanna inflitta all’imputato perché fondata su mere presunzioni tributarie. 

La Corte di legittimità, con la sentenza annotata, ha dichiarato inammissibile  il ricorso e sulla questione giuridica in disamina, ha affermato il seguente principio di diritto:

“…Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione dei principi relativi alla utilizzabilità, in sede penale, degli esiti degli accertamenti operati in sede tributaria. 

Va premesso che nessuna norma vieta al giudice penale di avvalersi, ai fini della prova dei reati tributari, delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria. 

Ciò discende dal principio di atipicità dei mezzi di prova operante nel processo penale, restando peraltro salva la necessità che il giudice sottoponga ad autonoma e soppesi accuratamente la valenza dimostrativa degli elementi acquisiti in sede tributaria, al di fuori di qualunque presunzione e di ogni predeterminazione del loro peso probatorio. 

E’, dunque, per tale ragione che questa Corte ha affermato che il giudice penale può legittimamente avvalersi (v. tra le altre, Sez. 3, n. 24811 del 28/04/2011, Rocco, Rv. 250647 e Sez. 3, n. 40992 del 14/05/2013, Ottaiano, Rv. 257619), dell’accertamento induttivo, effettuato, mediante gli studi di settore, dagli Uffici finanziari per la determinazione dell’imponibile (Sez.3, n. 36207 del 17/04/2019 Ud. (dep. 19/08/2019) Rv. 277581). 

Del resto, anche meno recentemente, si è sempre ritenuto che, sebbene i criteri stabiliti per l’accertamento sintetico del reddito imponibile, attraverso il così detto “redditometro”, non siano per il giudice penale fonti di certezza legale, tuttavia costituiscono elementi indiziari corrispondenti a criteri logici, utilizzabili per una corretta motivazione della sentenza di condanna (Sez. 3, n. 7491 del 21/06/1991 Ud. (dep. 12/07/1991 ) Rv. 188181.”

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.