Il dolo nel reato di occultamento delle scritture contabili è dimostrato anche dal comportamento del contribuente che si sottrae ad ogni obbligo fiscale.

Segnalo la sentenza numero 3689/2023 depositata il 30/01/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale, che si è pronunciata sul tema della prova dell’elemento psicologico del reato nel reato previsto e punito dall’art.10 d.lgs. n.74/2000.

Il reato recentemente modificato in punto di trattamento sanzionatorio dall’art. 39 comma 1 lettera n) del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, punisce con la reclusione da tre a sette anni la condotta del contribuente che al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. 

Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità dell’imputato rinviato a giudizio per avere occultato o comunque distrutto, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, una serie di fatture da lui emesse nello svolgimento della sua attività libero professionale nel corso degli anni di imposta dal 2012 al 2016.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale di Trieste interponeva ricorso per cassazione la difesa del giudicabile articolando plurimi motivi di impugnazione, contestando la decisione resa in grado di appello anche nel punto in cui non era stata posta adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito viene riportato il passaggio della motivazione di interesse per il presente commento con il quale il Collegio del diritto ha ritenuto di dare continuità all’orientamento giurisprudenziale dominante, che attribuisce rilevanza processuale anche alla condotta del reo successiva all’illecito: 

“Quanto alla ritenuta insussistenza dell’elemento soggettivo, cioè la volontà di evadere omissivamente gli obblighi fiscali, premesso che anche in questo caso la censura aveva formato oggetto del ricorso in appello, si osserva che congruamente la Corte territoriale ha desunto gli elementi rivelatori del dolo specifico dai fatto che il ricorrente negli anni in questione neppure ha presentato le obbligatorie dichiarazioni fiscali, avendo in tale modo la Corte giuliana dato seguito all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo il quale la prova del dolo specifico di evasione nei reati fiscali è desumibile anche dal comportamento successivo al fatto-reato consistente, ad esempio, nel mancato pagamento delle imposte ovvero nella mancata presentazione delle dichiarazioni prescritte (Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 maggio2020, n. 16469)”.

In termini analoghi e sulla  stessa linea interpretativa si era già pronunciata recentemente la Suprema Corte con la sentenza numero 44658.2022 – depositata il 24.11.2022, riferita alla diversa fattispecie del reato di omessa dichiarazione (art.5 d.lgs. n.74/2000). 

Per approfondimenti: https://studiolegaleramelli.it/2022/11/30/il-dolo-specifico-del-reato-di-omessa-dichiarazione-puo-essere-provato-anche-dal-successivo-comportamento-del-contribuente-che-non-paga-le-tasse-dovute/

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.