Il sequestro preventivo per reati tributari travolge gli interessi del ceto creditorio fallimentare e non richiede una specifica motivazione sul periculum in mora.

Segnalo la sentenza di legittimità numero 5255/2023 depositata il 07/02/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale, che ha affrontato il tema giuridico dei rapporti tra il sequestro preventivo del profitto del reato tributario e gli interessi del ceto creditorio della procedura fallimentare frustrati dall’esecuzione della predetta misura cautelare reale, sul quale esiste un significativo contrasto giurisprudenziale che, auspicabilmente, dovrà essere composto dall’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite Penali.   

Nel caso di specie, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani disponeva il  sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, per l’importo di euro 957.869,24, quale profitto del reato di cui all’art.10-bis del d.lgs. n.74 del 2000, eseguito sulla liquidità entrata nella disponibilità della procedura concorsuale. 

Il locale Tribunale cautelare rigettava la richiesta di riesame, aderendo all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, il patrimonio dell’imprenditore individuale o dell’ente fallito (ora destinatario della sentenza dichiarativa dell’insolvenza secondo la definizione del Codice della Crisi di Impresa), entrato nella disponibilità della curatela, non può considerarsi come facente parte del patrimonio di soggetto estraneo al reato, perché terzo rispetto alla persona indagata/imputata od alla compagine fallita.

La difesa della curatela fallimentare interponeva ricorso per cassazione contestando sia l’esecuzione della misura sul patrimonio della curatela con richiamo degli arresti giurisprudenziali che escludono tale possibilità facendo leva sul concetto di terzietà del soggetto (la procedura concorsuale) che subisce la misura, sia la mancanza di motivazione in ordine alle ragioni di urgenza poste a fondamento della misura cautelare che anticipa, seppure temporaneamente, l’effetto della confisca che consegue allapronuncia definiva di una sentenza di condanna o di applicazione pena su richiesta delle parti.

La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso ritenendolo destituito di fondamento,  statuendo quanto segue in replica alla censura di omessa motivazione sul periculum in mora da parte del G.I.P. e poi del Collegio cautelare di merito: 

“Il secondo motivo è infondato.

Non vi è dubbio che l’ordinanza impugnata sia errata in punto di diritto nella parte in cui ritiene superflua la motivazione sulla necessità di anticipare gli effetti della confisca. 

Infatti, deve ribadirsi che il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca, deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848). Né tale ultima ipotesi ricorre nel caso di specie.

Nondimeno, la necessità di anticipare l’effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio penale emerge dalla stessa situazione che si evince dagli atti e dalla prospettazione difensiva, essendo in corso una procedura fallimentare, che potrebbe portare – attraverso la distribuzione dell’attivo ai creditori – alla frustrazione, parziale o totale, della pretesa erariale assistita dalla confisca penale”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.