Reati tributari: tenere traccia della contabilità della società di famiglia sul proprio PC non costituisce atto gestorio dell’amministratore di fatto.

Segnalo la sentenza numero 5573/2023 resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale, che ha affrontato il tema degli indici probatori che devono ricorrere per potere affermare la responsabilità penale dell’amministratore di fatto chiamato a rispondere dei reati tributari commessi dall’ente in concorso con quello di diritto.   

Nel caso di specie, il giudicabile era stato rinviato a giudizio perché ritenuto dominus occulto della società di persone legalmente rappresentata dalla madre. 

Secondo la concorde valutazione dei giudici di merito, il reato di omessa dichiarazione poteva essere ascritto anche al ricorrente in quanto, nel corso delle indagini preliminari, era stata rinvenuta all’interno del suo computer documentazione fiscale della società elaborata dal medesimo, fatto dal quale sia il primo giudice, sia la Corte di appello, avevano ricavato la prova dell’esercizio di un significativo potere gestorio della società ancorchè di natura amministrativo/contabile.    

La difesa dell’imputato ricorreva per cassazione contro la sentenza resa dalla Corte territoriale di Roma, articolando plurimi motivi di ricorso, denunciando vizio di legge e di motivazione anche in riferimento  al superiore punto della sentenza impugnata.

La Corte di legittimità ha accolto la relativa doglianza statuendo il principio di diritto che segue:    

“….Nel caso di specie, la Corte di appello ha ritenuto che il [omissis] amministrasse di fatto la società legalmente rappresentata dalla madre perché gestiva i dati contabili in un computer esclusivamente a lui in uso, «attività che finisce con l’attribuirgli una funzione di amministratore di fatto, tanto più esercitata nell’ambito di una società di persone in nome collettivo, a ristretta base familiare, laddove è più facilmente confondibile e non distinguibile l’attività amministrativa in capo ai familiari membri della componente societaria». 

Nel PC del [omisssi], infatti, erano state rinvenute «annotazioni contabili (…) in ordine alle fatture emesse e ai costi sostenuti, annotazioni dalle quali è possibile ricavare il guadagno d’impresa e, infine, le imposte dovute. 

E’ stata cioè riscontrata la presenza di una contabilità parallela che ha consentito di ricostruire analiticamente gli incassi giornalieri».

Ora, in termini generali, alla luce dei principi sopra indicati, la tenuta della contabilità non costituisce, di per sé, atto gestorio dell’ente, nemmeno se si tratta, come nel caso di specie, di “contabilità separata”. 

Quando questa Corte ha ritenuto non irragionevole desumere l’amministrazione di fatto dall’attività manipolatoria (e, non dunque dalla semplice tenuta) dei bilanci e della contabilità, ha però contestualizzato l’affermazione del principio ricordando che l’imputato, in quel caso, aveva anche prestato determinate garanzie personali alle banche, mostrando così un concreto e diretto interesse nella conduzione della società e del concreto esercizio di un ruolo gestorio, confermato peraltro da testimonianze di dipendenti e fornitori (Sez. 3, n. 22413 del 2003, cit.).

Né costituisce argomento persuasivo il fatto che il [omissis] tenesse la contabilità in un contesto familiare-societario ristretto; si tratta, a ben vedere, di dato neutro che può valere, al più, a far ritenere la consapevolezza della «condizione di totale illegalità in cui l’azienda era collocata» (così il primo Giudice) ma tale consapevolezza non è di per sé sufficiente a integrare il concorso fattivo nella gestione della società se non si dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che tenendo la contabilità egli avesse agevolato/favorito/ istigato la commissione del reato omissivo per il quale si procede e comunque concorso nella gestione societaria. 

Va piuttosto evidenziato che la Corte territoriale non sembra aver dato peso al possibile contributo dichiarativo dei testimoni indicati nell’atto di appello che avevano escluso qualsiasi atto gestorio del [omisis], non potendo certamente ritenersi tale lo svolgimento di mansioni esercitabili da un qualsiasi lavoratore dipendente”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.