La consapevolezza da parte del prestanome di rappresentare solo formalmente la società gestita da altri può essere sufficiente per potere affermare la sua responsabilità per i reati fallimentari.
Segnalo la sentenza di legittimità n.6933/2023− depositata il 17/02/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione quinta penale, che pronunciandosi in materia cautelare reale, ha affrontato il tema giuridico della componente psicologica del mero prestanome della società necessaria e sufficiente per poter configurare una sua penale responsabilità in ordine ai reati fallimentari realizzati dagli amministratori occulti, veri gestori della persona giuridica.
Nel caso di specie il Tribunale cautelare di Milano, rigettava la richiesta di riesame interposta dal ricorrente contro il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. in sede per il reato associativo finalizzato alla commissione dei delitti di bancarotta, riciclaggio ed altri reati coinvolgenti diverse società aventi quale oggetto sociale l’attività di autotrasporto.
Contro l’ordinanza resa dal Collegio cautelare milanese, interponeva ricorso per cassazione la difesa del giudicabile.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento riferiti alla questione giuridica della responsabilità penale del prestanome:
“Ad ogni buon conto, quanto al fumus commissi delicti l’argomentare del Tribunale del riesame risulta assolutamente congruo e non affetto da manifesta illogicità, oltre che in linea rispetto all’orientamento consolidato in ordine alla responsabilità penale dell’amministratore di diritto ‘testa di legno’.
Infatti, in tema di bancarotta fraudolenta, l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire; a tal fine, è necessario, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza, da parte del primo, che l’amministratore effettivo distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa i beni sociali.
Tale consapevolezza, se da un lato non deve investire i singoli episodi nei quali l’azione dell’amministratore di fatto si è estrinsecata, dall’altro, non può essere desunta dal semplice fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore; tuttavia, allorché, come nella specie, si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possono scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilità penale (ex multis Sez. 5 n. 22846 del 13 marzo 2014, Pertile, in motivazione; Sez. 5, n. 19049 del 19 febbraio 2010, Succi e altri, Rv. 247251; Sez. 5, n. 7208 del 26 gennaio 2006, Filippi ed altro, Rv. 233637; Sez. 5, n. 28007 del 4 giugno 2004, Squillante, Rv. 228713).
D’altro canto, il Tribunale del riesame, senza aporie logiche, correttamente valorizza l’esistenza di un legame di affinità con i capi dell’organizzazione criminale, l’affidamento dei poteri gestori allo [omissis], comunque il ruolo di dipendente, ovvero l’essere stipendiato mensilmente anche solo per il ruolo di prestanome, elementi tutti che escludono l’assenza di consapevolezza”.
By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.