Deve essere assolto dall’accusa di omicidio colposo il chirurgo che sottopone ad un intervento più invasivo del necessario la paziente che si sospetta essere affetta da un tumore al seno.
Segnalo la sentenza numero 5595/2023 − depositata il 09/02/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione quarta penale, che si è pronunciata sulla questione giuridica della eventuale responsabilità del chirurgo che sottopone ad un intervento chirurgico – maggiormente invasivo rispetto a quello valutabile a posteriori – la paziente che si sospetta avere una patologia tumorale al seno, deceduta a seguito della anestesia generale per una reazione allergica al farmaco inoculato non prevenibile, né prevedibile, dai sanitari prima dell’operazione.
Il caso clinico ed il doppio grado di merito.
Secondo quanto emerge dalla lettura della sentenza in commento un medico chirurgo ed una anestesista della medesima struttura sanitaria erano stati rinviati a giudizio per il delitto di omicidio colposo in quanto, nella loro rispettiva qualità, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero, con condotte distinte, concorso a causare la morte di [omissis] – sottoposta ad intervento chirurgico di asportazione di lesione mammaria – determinata da una insufficienza multipla di organi in paziente in coma post-anossico.
Per quanto riguarda la posizione del medico chirurgo che aveva in cura la paziente, parte della contestazione penale riguardava la scelta di sottoporre la persona offesa ad un intervento chirurgico di quadrantectomia, non proporzionato alle condizioni cliniche della paziente al momento della sua esecuzione, posto che costei, sulla base delle risultanze di esami eseguiti, non presentava un quadro tale da far deporre per la presenza di una lesione potenzialmente maligna.
Per quanto riguarda il giudizio di merito sia il Tribunale di Messina che la Corte di appello della medesima città avevano ritenuto l’operato dei sanitari scevro da colpa professionali mandandoli assolti con formula piena.
Il giudizio di cassazione ed il principio di diritto.
Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale di Messina interponevano ricorso per cassazione i parenti della vittima, costituitisi parte civile, articolando plurimi motivi di ricorso.
Con una articolazione difensiva, veniva censurata la scelta imprudente del chirurgo che aveva optato per l’intervento maggiormente invasivo che richiedeva l’anestesia generale attivando così un rischio per la paziente, effettivamente deceduta per un evento allergico all’organo respiratorio indotto dall’anestesia causa dell’exitus infausto.
La Suprema Corte, con la sentenza annotata, ha ritenuto destituita di fondamento l’impugnazione di legittimità confermando, anche ai fini delle statuizioni civili, la decisione liberatoria assunta dai giudici del merito.
Di seguito vengono riportati i passaggi della motivazione relativi alla posizione del chirurgo di interesse per il presente commento:
“Stessa congruenza argomentativa è, poi, ravvisabile anche con riferimento alla mancata attribuzione a [omissis] di una responsabilità colposa nella verificazione del decesso della [omissis].
In modo opposto, le ricorrenti parti civili hanno causalmente attribuito il letale evento all’imprudente scelta dell’imputato di sottoporre la paziente ad un’operazione chirurgica di asportazione di una formazione benigna previa effettuazione di un’anestesia generale, laddove sarebbe stato cautelativamente più corretto procedere con un intervento in anestesia locale, come neanche prospettato alla [omissis] al momento della sottoscrizione del consenso informato, in cui le era stata prospettata l’errata diagnosi della presenza di una neoplasia maligna.
Orbene, a fronte dell’indicata doglianza, la Corte di appello ha esplicato come dalle emergenze probatorie acquisite fosse, in primo luogo, risultato che la scelta del [omissis] di programmare un intervento di quadrantectomia fosse stata previamente concordata con la [omissis] e con il suo medico curante, sul presupposto che la paziente era già stata sottoposta a precedente operazione chirurgica per una neoformazione alla mammella sinistra rivelatasi, nel corso dell’intervento, di natura maligna.
Pertanto, per quanto accertato dai consulenti escussi, la decisione del [omissis] era stata assunta in coerenza con il pregresso quadro clinico della vittima, che «rendeva obiettivamente concreto il rischio di un tumore metacrono, atteso peraltro l’età della paziente che la esponeva notevolmente a recidive. Il ricorso ad una procedura chirurgica più invasiva, nella concreta prospettiva dell’accertamento in corso di intervento della malignità della malformazione, appare pertanto giustificato».
In relazione, poi, alla dedotta erronea prospettazione alla [omissis] della sussistenza di un tumore maligno in sede di sottoscrizione del consenso informato, il Collegio ritiene logica e congrua l’argomentazione giustificativa espressa dalla Corte di merito, per cui è da considerarsi buona prassi quella di prospettare, in caso di preventiva mancanza di conoscenza della natura della neo formazione, la più negativa ipotesi, essendo ciò funzionale a consentire al chirurgo di procedere con immediatezza alla mastectomia, senza sottoporre il paziente a due interventi invasivi, qualora l’esame istologico, svolto in modo estemporaneo nella fase iniziale dell’intervento, dovesse rivelare la presenza di una neoplasia maligna.
Il [omissis], dunque, non era in presenza di due alternative terapeutiche, che lo avrebbero dovuto indurre a scegliere la soluzione meno pericolosa per la salute della paziente (Sez. 4 n. 12968 del 12/11/2020, dep. 2021, Usai, Rv. 281013-01), ma ad un unico logico iter procedurale, correttamente osservato nel pieno rispetto dell’accordo preventivamente raggiunto con la [omissis]”.
By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.