Le informazioni fiscali acquisite all’estero per scopi amministrativi possono essere utilizzate nel processo penale senza necessità di rogatoria.
Segnalo la sentenza numero 9083/2023 − depositata il 03/03/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale e trasmessa all’Ufficio del Massimario per l’annotazione del relativo principio di diritto, che si è pronunciata sul tema della utilizzabilità o meno in sede penale processuale della prova documentale ricevuta dall’Amministrazione finanziaria dello Stato per finalità tributarie da uno stato estero in forza delle convenzioni di cooperazione internazionale.
Secondo quanto è dato ricavare dalla lettura della sentenza in commento, l’imputato era stato condannato nel doppio grado del giudizio di merito per il reato di cui all’art. 10 d.lgs. n.74/2000 sulla base della documentazione inoltrata da Svizzera ed Inghilterra all’Agenzia delle Entrata che, a sua volta, aveva comunicato alla Procura territorialmente competente la notizia di reato relativa al delitto tributario di occultamento delle scritture contabili.
La difesa dell’imputato interponeva ricorso per cassazione contro la sentenza di appello denunciando vizio di legge della sentenza impugnata, anche nella parte in cui aveva ritenuto legittima la utilizzabilità dei documenti depositati nel fascicolo per il dibattimento in spregio all’art.26 Mod. OCSE, risultando necessaria, secondo la difesa, la rogatoria internazionale per la loro acquisizione nel processo penale.
La Corte di legittimità, con la sentenza annotata, ha rigettato il ricorso.
Di seguito viene riportato il passaggio della motivazione di interesse per il presente commento:
“In senso contrario, infatti, deve essere qui affermato che il rispetto di tutte le disposizioni citate, presupposto per il legittimo utilizzo delle informazioni ottenute (e dei relativi documenti), deve esser verificato con riguardo esclusivo al momento in cui ne è fatta richiesta all’autorità estera, e in relazione alla specifica – ed effettiva – finalità che sostiene quella domanda di cooperazione.
Dal testo normativo, del resto, non emerge alcun elemento che giustifichi una soluzione differente, ossia che mantenga, anche per il futuro e sine die, un silente ma vincolante collegamento tra l’informazione ottenuta e l’autorità estera che l’ha fornita, fino ad imporre – in sede penale – l’attivazione della procedura di rogatoria per ottenere nuovamente la medesima informazione già acquisita da un’autorità interna, sebbene in un procedimento di diversa natura.
Ammettere un simile collegamento, dunque, condurrebbe a soluzioni irrazionali e distoniche, peraltro con riguardo ad un’indagine penale sorta solo successivamente al procedimento fiscale che aveva giustificato la richiesta di cooperazione internazionale (come nel caso in esame) o comunque all’infuori di questo.
Ne consegue, dunque, che, una volta accertato il “piano” esclusivamente amministrativo del procedimento in corso ad opera dell’autorità richiedente, quanto così ottenuto (come le fatture, nella vicenda a carico del ricorrente) diviene parte del procedimento stesso ed assume la veste di un documento utilizzabile a fini istruttori, accertativi e sanzionatori fiscali.
Ormai legittimamente acquisito da un’autorità interna, lo stesso potrà poi, eventualmente, essere utilizzato anche per altri scopi, compreso quello penale, senza necessità dell’autorizzazione dello Stato (allora) richiesto e nel pieno rispetto di tutte le disposizioni interne che concernono l’acquisizione dei documenti nella fase procedimentale e processuale”.
By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.