Il costo del lavoro come elemento negativo del reddito di impresa può essere considerato dal giudice penale solo se fondato su prove certe.

Segnalo la sentenza numero 10149/2023 depositata il 10/03/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale, che si è pronunciata sul tema della prova documentale per mezzo della quale il difensore può dimostrare nel corso del dibattimento che il contribuente ha sostenuto dei costi non considerati durante l’indagine penale.

Nel caso di specie, gli elementi negativi del redditi di impresa, erano costituiti dal costo della forza lavoro sostenuto nel periodo di imposta in contestazione, del quale, secondo la difesa, non si era tenuto conto nel corso dell’accertamento fiscale svolto nei confronti della società.  

Secondo quanto emerge dalla lettura della sentenza in commento, i giudici del doppio grado di merito, avevano, concordemente, riconosciuto l’imputato (rinviato a giudizio nella sua qualità di quale legale rappresentante di una società di capitali) responsabile del reato previsto e punito dall’art.5 d.lgs. n.74/2000 perché, al fine di evadere le imposte sui redditi per euro 71.582,83 e sul valore aggiunto per euro 57.389,18, non presentava entro il 29 dicembre 2016, pur essendovi obbligato, la dichiarazione dei redditi 2016 relativa al periodo d’imposta 2015.

Contro la sentenza resa dalla Corte di appello di Messina la difesa  interponeva  ricorso per cassazione denunciando, per quanto di interesse per la presente nota,  vizio di legge e di motivazione  della sentenza impugnata anche nella parte in cui aveva ritenuto priva di efficacia dimostrativa la produzione in giudizio delle buste paga e dei modelli 770 acquisto agli atti del fascicolo processuale. 

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. 

Di seguito viene riportato il passaggio della motivazione di interesse per il presente commento: 

Quanto ai costi da lavoro dipendente – elementi negativi di cui la difesa lamenta la mancata considerazione in sede di determinazione dell’imposta dovuta -, la Corte territoriale ha escluso che si tratti di elementi negativi di cui si sarebbe potuto tener conto, ai fini della loro deducibilità, nel calcolo dell’importo della imposta evasa, a causa della loro mancata dimostrazione, non essendo sufficienti a tal fine i documenti prodotti dall’imputato. 

Si tratta di valutazione che non contrasta con il dettato di cui all’art. 95 T.U.I.R., che non contiene alcuna indicazione in merito alla deducibilità di costi non contabilizzati e, soprattutto, ai criteri da seguire per ritenerli dimostrati o meno. 

Peraltro, la conclusione cui giunge la Corte d’appello si pone in linea con quell’orientamento di legittimità in base al quale occorre tener conto dei costi non contabilizzati solo in presenza (quanto meno) di allegazioni fattuali da cui desumere la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza (Sez. 3, Sentenza n. 37094 del 29/05/2015, Granata, Rv. 265160; Sez. 3, Sentenza n. 53907 del 01/06/2016, Caterina, Rv. 268717; v. anche Sez. 3, n. 37131 del 09/04/2013, Siracusa, Rv. 257678). 

Non si può ritenere che abbiano rilievo dirimente a tal fine il riepilogo delle buste paga e dei contributi relativo al periodo da gennaio a dicembre 2015 e il modello 770 dei sostituti d’imposta richiamati dal ricorrente, perché – come affermato dal Tribunale e ribadito dalla Corte d’appello -, il primo è un documento meramente interno e predisposto dallo stesso imputato, mentre dal secondo non è possibile ricavare con certezza l’esistenza di lavoratori dipendenti, il loro numero, le loro generalità e, soprattutto, gli importi sostenuti a titolo di costi da lavoro. 

Pertanto, con valutazione non manifestamente illogica la Corte territoriale ha ritenuto non provata l’esistenza dei costi lavoro ai fini della loro deducibilità, stante la mancata esibizione da parte dell’imputato, in sede di controllo fiscale, di schede contabili, del libro unico del lavoro o di regolari bilanci di esercizio; di documenti, in altre parole, che avrebbero consentito di rilevare con sufficiente grado di certezza l’effettivo sostenimento dei costi lavoro da parte dell’impresa. 

Poiché, dunque, la valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Corte territoriale è sorretta da motivazione idonea e non manifestamente illogica, la censura con cui il ricorrente propone una lettura alternativa dei dati probatori a disposizione del giudice – e da questi adeguatamente valutati – deve ritenersi non consentita e il relativo motivo di ricorso inammissibile”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.