La Cassazione conferma l’irrilevanza della durata fissata dal piano di rateizzo per il pagamento dell’IVA rispetto al termine di apertura del dibattimento penale fissato per l’applicabilità della causa di non punibilità del reato tributario.
Segnalo la sentenza di legittimità numero 10730/2023 − depositata il 14/03/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale, che si è pronunciata sui rapporti che intercorrono tra i tempi di definizione del piano concordato con l’Agenzia delle Entrate per il pagamento del debito IVA e quelli dell’accesso alla causa di non punibilità per il reato previsto e punito dall’art. 10 ter d.lgs. n.74/2000, regolamentata dall’art.13 d.lgs. n.74/2000 (introdotta dal d.lgs. n.158/2015).
Nel caso di specie la Corte di appello di Milano confermava la decisione del Tribunale cittadino che aveva condannato l’imputato, con i doppi benefici di legge, alla pena di 4 mesi di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’articolo 10 ter del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, a lui contestato, perché, quale amministratore unico della società (OMISSIS) s.r.l., ometteva di versare l’iva per l’anno 2016, per un importo complessivo di Euro 512.141,00.
La difesa dell’imputato impugnava la sentenza resa dalla Corte territoriale di Milano articolando un unico motivo di ricorso per cassazione deducendo l’erronea applicazione degli articolo 51 c.p. e 13 del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, in relazione agli articolo 10 ter del medesimo decreto, osservando che l’imputato, pur avendo in corso un pagamento rateizzato con l’Erario, non aveva potuto accedere alla causa di non punibilità in quanto impossibilitato ad estinguere l’intero debito entro il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento.
La Corte di legittimità, con la sentenza annotata, ha dichiarato rigettato il ricorso e sulla questione giuridica in disamina, ha ritenuto di dare continuità al principio di diritto che segue:
“Sul punto questa Corte, con orientamento condiviso dal Collegio, ha infatti chiarito che, in tema di reati tributari, l’accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito, quantunque comporti la rimodulazione della sua scadenza, che viene scansionata nel tempo in corrispondenza ai termini delle singole rate, non esclude che, al verificarsi di detta scadenza senza la soddisfazione totale del debito, il reato resti comunque configurabile, in quanto la previsione di una causa sopravvenuta di non punibilità del fatto lascia immutata l’illiceità della condotta, che non può ritenersi scriminata ai sensi dell’articolo 51 c.p. nè ai sensi dell’articolo 59, comma 4, c.p., per cui l’effetto novativo dell’obbligazione che deriva dall’accordo tra il contribuente e l’Amministrazione rimane circoscritto all’ambito tributario, non producendo conseguenze sul piano penale (cfr. Sez. 3, n. 16472 del 28/02/2020, Rv. 279012 – 02 e Sez. 3, n. 48375 del 13/07/2018, Rv. 274701).
Così ricostruito, il meccanismo di operatività delineato dall’articolo 13 del Decreto Legislativo n. 74 del 2000 non presenta peraltro frizioni rispetto ai principi costituzionali, risultando assicurato un equo contemperamento tra diritto di difesa dell’imputato, ragionevole durata del processo e necessità di tutela dell’Erario.
Ne’ costituisce un’anomalia il fatto che a una determinata condotta vengano attribuiti effetti parzialmente differenti da rami diversi dell’ordinamento giuridico. Allo stesso modo, non è dirimente la circostanza che, dopo l’accesso della società amministrata da (OMISSIS) alla definizione agevolata dei debiti erariali, sia intervenuto il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., non essendo stato spiegato nel ricorso ne’ il motivo per cui era naufragato il tentativo di accesso dell’imputato al concordato preventivo, ne’ quando sia intervenuto il fallimento, ne’ quali disposizioni abbia impartito la curatela rispetto al pagamento dei debiti societari, ne’ e soprattutto in che termini l’apertura della procedura concorsuale avrebbe inibito all’imputato il tempestivo pagamento delle rate residue, posto che non sussiste alcuna incompatibilità tra la dichiarazione di fallimento e la prosecuzione del pagamento dei debiti accumulati precedentemente con il Fisco”.
By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.