Reati tributari: il terzo in buona fede cointestatario di un dossier titoli con l’indagato può rivendicare la restituzione dell’intero valore del portafoglio sequestrato.

Segnalo ed allego  la sentenza di legittimità 13550/2023 depositata il 31/03/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale, che si è pronunciata, in sede cautelare reale, sulla legittimità di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato tributario nel caso in disamina eseguito sull’intero ammontare di un dossier titoli del quale risultava intestatario la persona sottoposta ad indagini unitamente ad altre due persone estranee all’indagine penale.

La difesa prima innanzi al Gip e poi al locale Tribunale per il Riesame con richiesta di appello, aveva sostenuto di poter superare il dato formale e presuntivo della cointestazione allegando plurime circostanze  da cui era agevole evincere come le quote fossero state acquistate con somme investite dalla terza interessata in proprio ed in epoca antecedente alla commissione del reato, e fossero di esclusiva pertinenza della donna, in quanto le cedole corrisposte in relazione a tali titoli erano versate su un conto intestato solo a lei, dimostrando così il suo esclusivo possesso sui titoli.

La Corte di legittimità, facendo applicazione dei principi già elaborati sul punto di diritto, ha accolto il ricorso per cassazione interposto dalla medesima parte, rilevando una carenza totale di motivazione in ordine alle ragioni per le quali la ricorrente non poteva essere considera unica detentrice dell’intero importo come sostenuto dalla difesa. 

Di seguito si riporta l’estratto della parte motiva della sentenza annotata di interesse:

“Secondo l’orientamento ampiamente consolidato della giurisprudenza di legittimità, anche con riferimento alla disciplina di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, relativa ai reati tributari, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, la «disponibilità» del bene, che ne è il presupposto, non coincide con la nozione civilistica di proprietà, ma con quella di possesso, onde la misura non può attingere beni già entrati nella disponibilità di un terzo in buona fede (cfr. Sez. 3, n. 34602 del 31/03/2021, Roveta, Rv. 282366-01, la quale ha anche rappresentato l’irrilevanza, nel caso di beni mobili registrati, della mancata trascrizione della loro cessione nel P.R.A. prima della esecuzione del sequestro, nonché, più in generale, sulla nozione di «disponibilità», Sez. 3, n. 4887 del 13/12/2018, dep. 2019, De Nisi, Rv. 274852-01).

Posta questa nozione di «disponibilità», sembra ragionevole ritenere, anche per ragioni di coerenza sistematica e di eguaglianza di trattamento, che come l’accusa può dimostrare che il terzo sia l’intestatario fittizio di un bene, in realtà nella effettiva «disponibilità» dell’indagato, allo stesso modo al terzo deve essere riconosciuta la possibilità di dimostrare che egli sia il reale dominus e possessore del bene sottoposto a vincolo, e che l’indagato, invece, sia un mero intestatario, privo di qualunque «disponibilità» in ordine al medesimo.

Si può aggiungere che questa conclusione non risulta eccentrica nel sistema, perché trova significative corrispondenze anche con riguardo all’istituto della confisca c.d. per sproporzione di cui all’art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, oggi art. 240-bis cod. pen.

Invero, la giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato che, nel caso in cui il bene sia in comunione tra i coniugi, ma sia stato acquistato individualmente da quello non indagato, quest’ultimo deve ritenersi terzo titolare dell’intero bene, come tale legittimato all’impugnazione del sequestro dello stesso, per offrire la dimostrazione dell’esistenza di un rapporto di interposizione (cfr. Sez. 2, n.39349 del 05/07/2016, Maffei, Rv. 268372-01, e Sez. 2, n. 11804 del 20/12/2011, dep. 2012, Malgeri, Rv. 252807-01).

Atteso che, anche in caso di intestazione di beni all’indagato, il terzo può dimostrare di essere nella esclusiva «disponibilità» degli stessi, la decisione impugnata deve essere annullata perché fondata su una premessa errata nell’interpretazione del dato normativo.

Il Tribunale, infatti, ha escluso l’interesse dell’attuale ricorrente a chiedere la restituzione dei restanti due terzi delle quote indifferenziatamente cointestate a lei, all’indagato e ad altra persona, proprio in ragione dell’elemento formale della “titolarità” delle stesse, e, quindi, ritenendo erroneamente che questo ne implica, di per sé, indefettibilmente, la «disponibilità» a norma dell’art.12-bis d.lgs. n. 74 del 2000”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.