Commette il reato di dichiarazione infedele il contribuente che nella dichiarazione annuale IVA espone dei versamenti periodici inesistenti.

Segnalo ed allego la sentenza di legittimità 15436/2023, depositata il 13/4/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale, che nel definire il perimetro dell’incriminazione prevista dall’art. 4 d.lgs. n.74/2000, ha precisato che nel delitto di dichiarazione infedele rientra anche la condotta del contribuente che nella dichiarazione Iva annuale espone dei versamenti periodici in realtà mai effettuati

Nel caso di specie la Corte di appello di Roma confermava la condanna dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Contro la sentenza della Corte territoriale ricorreva per cassazione la difesa dell’imputato articolando plurimi motivi di impugnazione.

Per quanto di interesse per la presente nota va osservato che la difesa con un motivo di doglianza aveva sostenuto che la condotta del giudicabile era priva del requisito dell’insidiosità e non aveva dato luogo a violazioni contabili, non avendo avuto l’Agenzia delle Entrate alcuna difficoltà, attraverso la verifica automatizzata dei versamenti, a riscontrare la discrepanza tra quanto dichiarato e quanto effettivamente versato in acconto. 

Si trattava dunque, al più, del meno grave reato di omesso versamento d’imposta previsto e punito dall’art. 10 ter d.lgs. n.74/2000 e non già di una dichiarazione infedele.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso ed in risposta alla doglianza difensiva con la quale era stata censurata la sentenza di appello per avere erroneamente ritenuto integrato il reato in contestazione, ha fissato il principio di diritto che segue: 

“ …. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, posto che, in tema di reati tributari, i principi giurisprudenziali in materia di falso innocuo o grossolano non trovano applicazione in relazione alla fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in quanto l’indicazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi inesistenti nella dichiarazione annuale, da cui discende il non corretto calcolo dell’imposta e la sua mancata corresponsione, non richiede alcun carattere ingannatorio, essendo sufficiente che sia stata posta in essere al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Sez. 3, n. 8969 del 07/11/2019, dep. 2020, Cesina, Rv. 278634). 

Non rileva, dunque, che la falsa indicazione concernente versamenti IVA in acconto superiori a quelli effettivi sarebbe stata agevolmente riscontrabile sulla base dei dati in possesso della pubblica amministrazione. 

Per altro verso, contrariamente a quanto allega il ricorrente, il delitto contestato, come chiaramente emerge dalla formulazione della fattispecie, non richiede il compimento di condotte fraudolente nelle scritture contabili, rilevando esclusivamente l’infedeltà della dichiarazione fiscale (non vengono peraltro in rilievo, e il ricorrente neppure lo allega, le ipotesi richiamate nel comma 1-bis della fattispecie incriminatrice).

Essendo dunque corretta la qualificazione giuridica del fatto quale contestata e ritenuta dal provvedimento impugnato – in questa sede non censurata per altre ragioni – è per contro evidente come lo stesso non sia invece riconducibile all’evocata fattispecie di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000, posto che dalla (falsa) dichiarazione presentata non risultava un debito IVA. 

Ed invero, il reato previsto dall’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 presuppone che il debito IVA risulti dalla dichiarazione del contribuente (Sez. 3, n. 38487 del 21/04/2016, Reale, Rv. 268012) e, pertanto, la fattispecie non è integrata qualora nella stessa dichiarazione sia esposto un credito tributario (Sez. 3, n. 40361 del 19/09/2012, Facecchia, Rv. 253680)”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.