E’ legittima la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale anche per il socio della società di fatto che distrae beni dal suo patrimonio personale.
Segnalo la sentenza n.16260/2023 − depositata il 17/04/2023, resa dalla Suprema Corte di Cassazione – sezione quinta penale, che si è pronunciata sul tema giuridico della sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale contestata ai soci di una società di fatto – vale a dire priva di atto costitutivo – della quale l’Autorità giudiziaria competente aveva dichiarato il fallimento esteso anche ai soci.
Nel caso di specie, la Corte di appello di Torino, aveva confermato la sentenza di primo grado a carico degli imputati ritenuti responsabili dei reati di cui agli artt. 110, 223, 222 e 216, comma 1, nn. 1 e 2, L.F., per avere, in concorso tra loro, quali amministratori della società di fatto tra loro costituita, posto in essere plurime condotte suscettibili di pregiudicare le ragioni dei creditori sociali, disponendo esborsi di somme di denaro dai conti correnti a loro stessi intestati impiegate per finalità estranee all’oggetto sociale, e per avere omesso la consegna al curatore fallimentare delle scritture contabili societarie — in particolare del libro inventari, del libro giornale e di tutti i mastri contabili — o, comunque, per averle tenute in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio, così cagionando un danno di rilevante gravità.
Per quanto di interesse per la presente nota si evidenzia che gli imputati con il ricorso per cassazione affidato a plurimi motivi, con una articolazione difensiva avevano denunciato vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che le condotte di bancarotta loro ascritte si applicherebbero solo ai soci illimitatamente responsabili delle società in nome collettivo e in accomandita semplice ma non anche ai soci illimitatamente responsabili delle società di fatto – giusta il disposto di cui all’art. 2297 cod. civ., atto a riverberare i propri effetti disciplinari dei rapporti tra la società e i terzi anche in sede penale -, onde evitare un irragionevole trattamento di favore per coloro che abbiano omesso di adempiere agli obblighi di legge, finirebbe per dar corso ad un’operazione di analogia in malam partem.
La Suprema Corte, decidendo la questione di diritto sottoposta al suo scrutinio con il ricorso per cassazione, ha ritenuto destituita di fondamento la superiore tesi della difensiva fissando il seguente principio di diritto:
“……Pertanto, in ipotesi di società di fatto, per le condotte di distrazione di beni personali, il socio illimitatamente responsabile risponde del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in relazione al proprio fallimento, ai sensi dell’art. 222 L.F.; per le condotte di distrazione di beni sociali, risponde dello stesso reato, in relazione al fallimento della società, ai sensi dell’art. 223, comma 1, L.F., che dispone che «Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 L.F. agli amministratori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti dal suddetto articolo» (Sez. 3, n. 1629 del 14/05/1965, Rv. 099795): ciò perché, con riferimento alle società di fatto, ai sensi degli art. 2297 e 2266 cod. civ., la rappresentanza della società e il potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale spetta a ciascun socio, salvo la prova di un diverso patto e della conoscenza dello stesso da parte del terzo interessato”.
By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.