Dichiarazione infedele: la prova del dolo specifico del reato tributario è ricavabile anche dall’entità degli elementi attivi sottratti all’imposizione tributaria.

Segnalo la sentenza numero 24930/2023 – depositata il 09/06/2023, resa dalla Suprema Corte di Cassazione – sezione terza penale, che ha affrontato il tema giuridico della prova del dolo specifico richiesto per la punibilità del delitto previsto e punito dall’art.4 d.lgs. n.74/2000.

La sentenza annotata (che ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione) è di particolare interesse per gli operatori del diritto che si occupano della materia penale tributaria nella parte in cui la Corte di legittimità ha validato il ragionamento seguito dai Giudici del merito che avevano attribuito rilevanza al dato quantitativo degli elementi attivi – non dichiarati – per corroborare la prova della volontà dell’imputato di consumare il reato in parola: 

“….. A ciò deve aggiungersi che, secondo la corretta valutazione dei giudici di merito, la descritta dimensione oggettiva del fatto è altamente indicativa del dolo specifico richiesto dall’art. 4 d.lgs. del n. 74 del 2000. 

Infatti, se dal punto di vista oggettivo l’essenza del reato è costituita dalla presentazione di una dichiarazione relativa alle imposte sui redditi o all’IVA ideologicamente falsa,  dal lato soggettivo non è sufficiente la semplice violazione di una norma tributaria, accompagnata dal superamento della soglia ma è necessario un quid pluris, costituito dalla coscienza e volontà di porre in essere una rappresentazione mendace degli elementi attivi o passivi indicati in dichiarazione, idonea a trarre in inganno l’organo accertatore e finalizzata ad evadere le imposte dovute.

E nel caso in esame, la prova del dolo specifico di evasione, si ricava agevolmente dalle modalità del fatto – segnatamente dai descritti artifizi contabili – e dal considerevole ammontare di elementi attivi sottratti all’imposizione, oltre al coinvolgimento dell’imputato nei fatti di bancarotta distrattiva commessi in danno della fallita società.

In questo quadro, la tesi dell’appellante, non è in grado di offrire una diversa ed antitetica prospettazione idonea, sul piano logico, ad escludere la sussistenza del profilo soggettivo doloso della contestata condotta”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.