Più spazi difensivi per il prestanome se la bancarotta fraudolenta documentale è contestata sotto forma di sottrazione dei libri e delle scritture contabili.

Segnalo la sentenza numero 27411/2023 – depositata il 22/06/2023, resa dalla Suprema Corte di Cassazione – sezione quinta penale, che è tornata ad affrontare il tema della responsabilità penale del liquidatore chiamato a ricoprire il ruolo di  “testa di legno”  nell’ipotesi di contestazione della bancarotta fraudolenta documentale.   

Nel caso di specie, la Corte di appello di Milano, aveva confermato la sentenza di condanna inflitta dal primo Giudice all’imputato, già liquidatore della società fallita, per avere  sottratto o comunque omesso di tenere, allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, tutti i libri e le scritture contabili prescritti dalla legge, così impedendo la ricostruzione del patrimonio sociale e del movimento degli affari.

La difesa dell’imputato, con il ricorso per cassazione, aveva impugnato la sentenza della Corte territoriale articolando plurimi motivi di impugnazione.

Con una censura era stata denunciato il vizio di legge relativo alla assenza di prova in ordine al dolo specifico (procurare a sé o altri un ingiusto profitto ovvero arrecare danno ai creditori) richiesto per ritenere integrato l’elemento psicologico del reato richiesto secondo il dominante orientamento della giurisprudenza di legittimità per la punibilità della cosiddetta bancarotta documentale specifica, contestata nel caso di specie.   

Il Collegio del diritto ha accolto il ricorso in ordine alle superiore doglianza e, per l’effetto, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per nuovo giudizio per le ragioni che seguono:

“…..In tal senso, la motivazione resa dall’impugnata sentenza soffre di un evidente lacuna, essendosi la Corte territoriale limitata ad affermare la “consapevolezza”, in capo all’imputato, “di consentire all’amministratore di fatto di poter contare sullo schermo formale rappresentato da un soggetto al quale veniva imputata la rappresentanza della società proprio nel momento in cui si palesavano le condizioni della società che ne determinavano il successivo fallimento.” 

Non avendo la Corte d’appello indicato ulteriori, e più probanti, elementi a sostegno del dolo specifico, va senza dubbio esclusa la possibilità di far rientrare la condotta del ricorrente in quella punita a titolo di dolo generico, la cui struttura fenomenica, come ribadito – in quanto basata su scritture che, per quanto incomplete o inidonee alla ricostruzione dell’andamento dell’impresa, sono state sottoposte agli organi fallimentari – risulta del tutto eccentrica rispetto alla condotta omissiva, anche parziale, contestata nel caso di specie”. 

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.