Il pagamento del debito fiscale successivo alla commissione del reato tributario può condurre ad una assoluzione per tenuità del fatto anche a dibattimento aperto.
Segnalo la sentenza numero 28031/2023 – depositata il 28/06/2023, resa dalla Corte di Cassazione -sezione terza penale, che si è pronunciata sulla incidenza che può avere in sede penale processuale, anche in termini assolutori, il pagamento del debito tributario rateizzato avvenuto nel corso del giudizio ma in una fase successiva alla dichiarazione di apertura del dibattimento.
Nel caso di specie, i giudici del doppio grado di merito, avevano affermato, concordemente, la penale responsabilità dell’imputato rinviato a giudizio per il reato di omesso versamento dell’iva per un importo di € 710.000,00, ben superiore alla soglia di punibilità attualmente fissata dall’art.10 ter d.lgs. n.74/2000 in € 250.000,00.
In particolare, la Corte territoriale di Messina, pur avendo revocato la confisca già disposta in misura pari al profitto del reato fiscale per avere il contribuente estinto il debito tributario con l’Erario, non aveva ritenuto di assolvere l’imputato per la tenuità del fatto malgrado la resipiscenza dell’imputato che aveva estinto il debito tributario.
Con la sentenza annotata, il Collegio del diritto, pur annullando senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, ha ritenuto che la sentenza della Corte di appello fosse viziata per carenza di motivazione nella parte in cui non aveva reso conoscibili le ragioni per le quali il fatto di reato non poteva ritenersi tenue, alla luce della nuova formulazione dell’art. 131 bis cod. pen., che valorizza anche la condotta successiva alla consumazione dell’illecito penale.
Di seguito si riportano i passaggi estratti dalla motivazione di interesse per la corrente nota:
“Ciò posto, nella vicenda in esame, assume particolare rilevanza la considerazione, ai fini della valutazione della gravità dell’offesa, anche della condotta susseguente al reato, elemento che la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla previgente formulazione della norma, escludeva dal novero degli elementi da apprezzare proprio perché non espressamente previsto, e dovendosi perciò valutare la misura dell’offesa nel momento di consumazione del reato (cfr., ad esempio, Sez. 5, n. 660 del 02/12/2019), rilevandosi al contempo che, per effetto dell’indicata modifica, invece, la condotta post factum è uno – ma non certamente l’unico, né il principale – degli elementi che il giudice è chiamato ad apprezzare ai fini del giudizio avente ad oggetto l’offesa, tenuto conto altresì del fatto che, come si desume dalla Relazione illustrativa all’indicato d.lgs. 150 del 2022, il Legislatore delegato ha volutamente utilizzato un’espressione ampia e scarsamente selettiva – quale, appunto, «condotta susseguente al reato» – allo scopo di «non limitare la discrezionalità del giudice che, nel valorizzare le condotte post delictum, potrà [..] fare affidamento su una locuzione elastica ben nota alla prassi giurisprudenziale, figurando tra i criteri di commisurazione della pena di cui all’art. 133, comma secondo, n. 3 cod. pen.».
Da quanto appena esposto ne discende che il giudice potrà perciò valutare una vasta gamma di condotte definite solo dal punto di vista cronologico-temporale, dovendo essere “susseguenti” al reato, ed evidentemente in grado di incidere sulla misura dell’offesa, e ciò vale non solo nel caso in cui le condotte susseguenti riducano il grado dell’offesa – quali le restituzioni, il risarcimento del danno, le condotte riparatorie, le condotte di ripristino dello stato dei luoghi, l’accesso a programmi di giustizia riparativa, o, come nel caso in esame, l’intervenuto adempimento dell’obbligo tributario mediante l’integrale pagamento del debito erariale secondo il piano di rateizzazione concordato con il Fisco – ma anche, e specularmente, quando delle condotte aggravino la lesione – inizialmente “tenue” – del bene protetto.
Va, infine, precisato, come pure emerge dalla Relazione illustrativa (p. 346), che la condotta susseguente al reato acquista rilievo, nella disciplina dell’art. 131-bis cod. pen., non come esclusivo e autosufficiente indice-requisito di tenuità dell’offesa, bensì come ulteriore criterio, accanto a tutti quelli contemplati dall’art. 133, comma primo, cod. pen. (ossia la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il
tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione; la gravità del danno o del pericolo; l’intensità del dolo o della colpa): elementi tutti che, nell’ambito di un giudizio complessivo e unitario, il giudice è chiamato a valutare per apprezzare il grado dell’offesa, e ciò comporta che le condotte post delictum non potranno di per sé sole rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento della commissione del fatto – dando così luogo a una sorte di esiguità sopravvenuta di un’offesa in precedenza non tenue – ma, come detto, potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio sulla misura dell’offesa, giudizio in cui rimane centrale, come primo termine di relazione, il momento della commissione del fatto, e, quindi, la valutazione del danno o del pericolo verificatisi in conseguenza della condotta.
Nel caso di specie, è indubbio che la condotta “susseguente” al reato (che, ove intervenuta “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”, avrebbe certamente consentito l’applicabilità dell’altra speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 13, comma 1, D.Igs. n. 74 del 2000), ha sostanzialmente neutralizzato la gravità dell’offesa, originariamente consistente (notevole essendo indubbiamente l’importo il cui versamento era stato omesso, pari a poco meno di 710.000 euro), provocata all’Erario, avendo i ricorrenti dimostrato con il proprio comportamento la volontà di assolvere il debito tributario, provvedendo tempestivamente ad onorare il piano rateale concordato con il Fisco, tanto da determinare l’adozione in appello del provvedimento di revoca della disposta confisca in primo grado.
Nella specie, dalla motivazione dei giudici di appello, tuttavia, emerge come il successivo versamento rateale del debito tributario non è stato valutato in termini di condotta “susseguente” al reato nei termini richiesti dalla nuova previsione (e non poteva, del resto, esserlo, non essendo a tale data ancora entrata in vigore la novella dell’art. 131-bis, cod. pen.), essendosi limitata la Corte territoriale ad esprimere una semplice valutazione in termini recessivi di tale condotta, a fronte del danno erariale cagionato sia in assoluto sia in rapporto alla soglia di punibilità, in considerazione del notevole importo il cui versamento era stato omesso.
La necessità, invece, di dover apprezzare tale condotta alla luce della nuova previsione (che esplica indubbi effetti sostanziali, incidendo sulla punibilità del fatto, ed è quindi soggetta alla regola iuris dettata dall’art. 2, comma quarto, cod. pen.), imporrebbe pertanto l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice d’appello per una rinnovata valutazione del fatto”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA