Riciclaggio e non concorso in frode informatica a carico del soggetto che si limita a mettere a disposizione il proprio conto corrente per far conseguire ad altri l’illecito profitto.
Segnalo la sentenza numero 29346/2023 – depositata il 06/07/2023, resa dalla Corte di Cassazione -sezione quinta penale, che si è pronunciata sul tema della qualificazione giuridica della condotta del soggetto che mette a disposizione il proprio corrente sul quale far confluire la liquidità ottenuta da altri soggetti autori di truffe informatiche.
Nel caso di specie, il Giudice per le indagini preliminari di Torino, aveva applicato all’imputato la pena concordata per il delitto di riciclaggio, non essendo stato contestato al giudicabile il diverso delitto previsto e punito dall’art.640 ter cod. pen.
Contro la sentenza resa ex art. 444 e segg. c.p.p. veniva interposto ricorso per cassazione denunciando vizio di legge afferente all’erronea qualificazione giuridica del fatto; in particolare, è stato sostenuto dalla difesa del giudicabile, che la condotta ascrivibile al reo doveva sussumersi nel concorso in frode informatica piuttosto che nel più grave reato contro il patrimonio contestato con la richiesta di rinvio.
Il Collegio del diritto ha dichiarato inammissibile il ricorso ed affermato il principio di diritto contenuto nei passaggi della parte motiva della sentenza che seguono:
“Ebbene, dalle imputazioni emerge che l’autore della frode informatica aveva già conseguito il profitto, con la percezione fraudolenta delle somme di denaro corrisposte dalle vittime di quel reato.
Vale rimarcare come la percezione delle somme per effetto della frode segna il momento perfezionativo del reato, con il conseguimento dell’ingiusto profitto.
Tale dato vale a risaltare come le somme di denaro venivano trasferite sui conti correnti degli odierni ricorrenti, quando il reato presupposto si era ormai perfezionato, in via autonoma e senza il contributo dei titolari dei conti correnti costituenti i recipienti delle somme di denaro provento di delitto.
Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, dunque, gli autori dei delitti presupposti avevano autonomamente conseguito il profitto del loro reato, così che la successiva operazione di immissione del denaro sui conti correnti degli imputati è una condotta oggettivamente ulteriore e successiva, idonea a configurare il reato di riciclaggio, mancando il concorso alla realizzazione del reato presupposto, così come impone, in generale, la clausola di riserva prevista dall’art. 648 bis cod. pen..
La loro condotta si colloca, invece, in un momento successivo, quando sorge l’esigenza di “ripulire” il denaro proveniente dal delitto di frode informatica, ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa del medesimo; con una condotta, dunque, esattamente inquadrabile in una delle tipiche ipotesi previste dall’art. 648 bis cod. pen..
Va, dunque, affermato che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, da altri precedentemente ricavato quale profitto conseguito del reato di frode informatica, consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA