Negata la messa alla prova per il reato di omesso versamento Iva se l’impegno rateale assunto dall’imputato è incongruo rispetto al debito fiscale complessivo.
Segnalo la sentenza numero 32750/2023 – depositata il 27/07/2023, resa dalla Corte di Cassazione -sezione terza penale, che si è pronunciata sulla questione giudica della ammissione all’istituto della messa alla prova dell’imputato di reati tributari sotto il profilo della idoneità dell’impegno risarcitorio assunto con la richiesta formulata dalla difesa.
Nel caso di specie e per quanto riguarda la questione in disamina, risulta che sia il primo Giudice, sia la Corte territoriale, avevano denegato l’ammissione dell’imputato alla messa alla prova ritenendo che l’impegno assunto dal giudicabile di versare € 1.000,00 al mese a fronte di un profitto del reato tributario di € 447.000 non consentisse di accedere all’istituto previsto dall’art. 168-bis e segg. cod. pen..
Con il ricorso per cassazione la difesa del giudicabile lamentava vizio di legge e di motivazione del relativo capo della sentenza di appello.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile l’impugnazione di legittimità e statuito il principio di diritto che segue:
“Ed infatti, la Corte di appello ha ritenuto di integrare la motivazione della sentenza di primo grado ritenendo che correttamente, a fronte di un debito erariale di 447.000 euro, oltre alle somme non versate in relazione alle omesse ritenute, la promessa di versare 1.000 €, a rate, non appariva un serio impegno a risarcire il danno cagionato all’erario.
Precisavano i giudici di secondo grado che «la messa alla prova non costituisce un diritto assoluto dell’imputato, dovendo soddisfare alcune condizioni che debbono essere valutate dal giudice prima di tutte, la possibilità di esprimere una prognosi favorevole nei confronti del richiedente con riferimento alta possibilità che torni a commettere in futuro altri reati.
Deve poi, essere valutata l’adeguatezza del programma, non soltanto nel senso della sua idoneità a favorire il suo reinserimento sociale ma anche sotto il profilo dell’essere espressione della apprezzabilità dello sforzo sostenuto dall’imputato per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato e risarcire il danno.
Anche nell’ipotesi in cui un risarcimento, nella sua forma integrale, non sia possibile, il giudice dovrà comunque valutare se il programma sia l’espressione dello sforzo massimo prendibili dall’imputato (Cass. 34878/19).
Ebbene, si conviene con il giudice di prime cure che se non era ipotizzabile che l’imputato restituisse allo Stato i 447.000 euro di cui si è appropriato, di certo non può rappresentare il massimo sforzo possibile il versamento di 1.000 € a rate».
Aggiungeva la Corte territoriale, corroborando la sua motivazione, che l’imputato aveva trovato un impiego presso la ditta[omissis]percependo uno stipendio, circostanza che rendeva ancor più evidente l’inidoneità della somma proposta.
La valutazione circa la sussistenza dei presupposti per l’ammissione all’istituto in parola, secondo la costante orientamento di questa Corte, costituisce espressione di un potere discrezionale del giudice di merito circa la possibilità di rieducazione e di inserimento dell’interessato nella vita sociale ed è espressione di un giudizio prognostico, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione, condotto sulla scorta dei molteplici indicatori desunti dall’art. 133 cod. pen., inerenti sia alle modalità della condotta che alla personalità del reo, sulla cui base ritenere che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati (Sez. 6, n. 37346 del 14/09/2022, Boudraa, Rv. 283883 – 01; Sez. 3, n. 28670 del 09/09/2020, Rv. 280276 – 01).”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA