La rimozione anche di un solo estintore presso la stazione di rifornimento carburanti configura il reato punito dall’art.437 cod. pen.

Segnalo la sentenza numero 36908/2023 – depositata il 07/09/2023, resa dalla Corte ci Cassazione – sezione quarta penale, che è tornata ad definire il perimetro punitivo del reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.

Nel caso in disamina i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, ritenuto responsabile del reato previsto e punito dall’art.437 cod. pen. il titolare di un’area di servizio carburanti che secondo la contestazione penale elevata nei suoi confronti aveva rimosso un estintore destinato alla prevenzione di disastri o infortuni sul lavoro.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale di Brescia interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, lamentando la mancanza dell’elemento costitutivo del pericolo per l’incolumità pubblica.

La Corte regolatrice ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

“La giurisprudenza di legittimità, chiamata a enucleare le condizioni alla stregua delle quali è possibile configurare il delitto de quo, ha affermato che «Ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa descritta dall’art. 437 cod. pen., è necessario che l’omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo» (Sez. 1 n. 24945 del 24/01/2023, Ruben, Rv. 284777; Sez. 1, n. 4890 del 23/01/2018, dep. 2019, Prunas, Rv. 276164; Sez. 1, n. 18168 del 20/01/2016, Antonini, Rv. 266881; Sez. 1, n. 6393 del 02/12/2005, dep. 2006, Strazzarino, Rv. 233826).

A tale indirizzo, che assegna centrale rilevanza al carattere di diffusività del pericolo derivante dalla rimozione o omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro, il Collegio intende dare convinta continuità rispetto a quello – che pure si è affermato, ancora in tempi non remoti, in sede di legittimità – che riconosce penale rilevanza anche alle condotte che, attraverso la violazione della normativa prevenzionale, abbiano messo a repentaglio l’incolumità di un singolo lavoratore (Sez. 4, n. 57673 del 24/11/2017, Fenotti, Rv. 271693; Sez. 1, n. 12464 del 21/02/2007, L’Episcopo, Rv. 236431).

Tanto, in ragione della dichiarata finalità cautelare e della collocazione sistematica della disposizione, la cui interpretazione dev’essere parametrata all’astratta attitudine della condotta illecita a provocare l’esposizione a pericolo della pubblica incolumità e ad amplificare, per tale via, il rischio, non più circoscritto a uno o più soggetti e diretto nei confronti di un’intera (ancorché, se del caso, numericamente contenuta) comunità di lavoratori o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo (Sez. 1, n. 4890 del 23/01/2018, dep. 2019, Prunas, Rv. 276164, citata). Sicché – come chiarito in Sez. 4, n. 7939 del 25/11/2020, dep. 2021, L’Episcopo, Rv. 280928 – «il reato non è configurabile laddove l’impianto o l’apparecchiatura, difettante delle cautele destinate a prevenire infortuni sul lavoro, non sia destinato all’utilizzazione contemporanea da parte di una pluralità di lavoratori o non sia idonea a sprigionare una forza dirompente in grado di coinvolgere numerose persone».

 L’indagine demandata all’interprete dev’essere, dunque, svolta «sul piano della potenziale offensività del comportamento irrispettoso della normativa prevenzionale – in chiave, essenzialmente, di sua attitudine ad attingere tutti coloro che, a diverso titolo, vengano a contatto con quell’ambiente lavorativo – piuttosto che su quello dell’individuazione della platea dei soggetti materialmente coinvolti» (Sez. 1, n. 39091 del 15/4/2022, Nerini, n.m.; Sez. 1, n. 2547 del 30/09/2021, dep. 2022, Picarella, n.m.).

Nel caso di specie la Corte territoriale, anche attraverso l’opportuno richiamo della pronuncia di primo grado, si è correttamente conformata ai principi ermeneutici citati, indicando le ragioni per le quali ha ritenuto che la condotta dell’imputato avesse assunto il prescritto carattere di potenziale diffusività del pericolo”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA