Le dimissioni del presidente del CDA non seguite dal subentro di altro soggetto nella carica gestoria non evitano la sua condanna per bancarotta fraudolenta documentale.

Segnalo la recente sentenza numero 37012/2023 – depositata in data 08/09/2023, resa dalla sezione quinta penale, che ha affrontato il tema giuridico della responsabilità penale per reati fallimentari dell’amministratore dell’ente dimissionario, non sostituito da altro soggetto che subentra nella carica prima del fallimento.

Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, ritenuto l’imputato responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, per non avere consegnato agli organi della procedura concorsuale la documentazione necessaria a ricostruire la contabilità ed il movimento di affari della società fallita.

Contro la sentenza della Corte territoriale gli imputati ricorrevano per cassazione articolando plurimi motivi di impugnazione; con una doglianza veniva censurato il capo della sentenza di appello che aveva ritenuto  l’imputato responsabile del reato a lui ascritto nonostante le rassegnate dimissioni.

Il Collegio del diritto ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento che si riferiscono alla questione di diritto in disamina:

“In ogni caso, la cessazione dall’incarico di amministratore unico di una società, per qualsiasi ragione, determina l’operatività dell’istituto della “prorogatio imperii”, previsto dall’art. 2385 cod. civ., secondo cui detta cessazione ha effetto (se resta in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione) soltanto in forza della sua avvenuta sostituzione con altro amministratore, con la finalità di assicurare la contestualità tra cessazione e sostituzione dell’amministratore, di talché l’efficacia delle dimissioni o di qualsiasi altro istituto da cui derivi che la società rimanga privata dell’opera dell’amministratore dipende e decorre dall’avvenuta sostituzione (in tal senso anche la giurisprudenza della Cassazione civile, a partire da Sez. 3, n. 281 del 24/1/1975, Rv. 373494; si vedano anche Sez. L, n. 6454 del 11/12/1979, Rv. 403190; Sez. 1, n. 28 del 3/1/2013, Rv. 625191).

Nel caso di specie, la sentenza d’appello ha messo in risalto la circostanza che le missive dell’imputato, nelle quali rappresentava le sue dimissioni, davano atto proprio delle dimissioni anche di tutto il consiglio di amministrazione, praticamente azzerato; né risulta sia stato nominato un amministratore in sostituzione.

Pertanto, anche dal punto di vista formale, per la proroga nelle funzioni, il ricorrente rivestiva comunque il ruolo di amministratore unico della cooperativa in liquidazione.

Ed il secondo comma dell’art. 2385 cod. civ. non è norma limitativa delle attribuzioni dell’amministratore nel periodo di proroga, sicché deve escludersi che i compiti di gestione di detti amministratori siano circoscritti, in tale periodo, agli atti di ordinaria amministrazione (Sez. 1, n. 8912 del 4/6/2003, Rv. 563895) e, dunque, che al ricorrente fossero estranei compiti di tenuta regolare della documentazione contabile della cooperativa.

Da tali elementi si è tratta agevolmente, e convincentemente, la responsabilità del ricorrente per il reato ascrittogli, su di un piano oggettivo, rilevato che l’obbligo di tenere le scritture contabili viene meno solo quando la cessazione dell’attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese (cfr. Sez. 5, n. 20514 del 22/1/2019, Martino, Rv. 275261, in tema di bancarotta semplice documentale).