Depositata la sentenza delle Sezioni Unite Penali che considera legittimo il sequestro preventivo per reati tributari sui beni della società fallita.

Segnalo ed allego la sentenza numero 40797/2023, depositata il 06.10.2023 (udienza camerale 22/06/2023) con quale la Suprema Corte di Cassazione, nella sua composizione più autorevole, ha risolto il contrasto giurisprudenziale che si era formato tra i due contrapposti orientamenti sulla assoggettabilità o meno al sequestro preventivo per il profitto del  reato tributario dei beni già facenti parte del patrimonio dell’impresa fallita ed acquisiti alla procedura concorsuale.

L’ordinanza di rimessione numero 7633/2023 trasmessa  dalla terza sezione penale alle Sezioni Unite aveva ad oggetto la seguente questione giuridica:

se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l’avvenuto spossessamento del debitore erariale, indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare, per effetto della apertura della procedura concorsuale operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell’art. 12-bis, comma I , del d.lgs. n. 74 del 2000, secondo il quale la confisca e, conseguentemente il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato”

Le Sezioni Unite Penali hanno ritenuto di rigettare il ricorso interposto dalla curatela ed hanno fissato il principio di diritto che segue del quale, al di là della natura vincolante per il giudizio penale de quo, d’ora in poi dovrà tenersi conto per valutare l’opportunità di interporre le impugnazioni della misure cautelare reale che attingono i beni acquisiti dalle procedure concorsuali per soddisfare gli interessi del ceto creditorio:

Conclusivamente, l’obbligatorietà della confisca del profitto dei reati tributari comporta la prevalenza del vincolo penalistico rispetto ai diritti incidenti, per effetto della pendenza di una procedura concorsuale, sul patrimonio del soggetto sottoposto alla cautela reale, proprio perché i beni restano nella titolarità del fallito e non “passano” al curatore, essendo quindi necessario sottrarli al primo, non potendosi applicare la deroga del “terzo estraneo” di cui all’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000.

La finalità del legislatore di ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato non è, pertanto, vanificabile in alcun modo; va aggiunto che, ove si ragionasse diversamente, si verrebbe ad annettere alla procedura concorsuale un effetto di “improcedibilità” e, nel caso di confisca per equivalente, di “estinzione” della sanzione del tutto extravagante rispetto agli specifici casi contemplati dal sistema codicistico.

La soluzione indicata è del resto comune a quella cui perviene anche la giurisprudenza tributaria di legittimità, secondo cui «il carattere obbligatorio e sanzionatorio della confisca diretta o per equivalente del profitto dei reati tributari, prevista dall’art. 12-bis comma 1, del d.lgs. n.74 del 2000, comporta che il sequestro preventivo ad essa funzionale, benché sopravvenuto rispetto alla proposizione di una domanda di concordato preventivo, sia opponibile ai creditori, non potendo in contrario invocarsi l’art. 168 I. fall., il quale vieta l’inizio delle azioni cautelari in costanza di procedura, posto che una siffatta inibizione non sussiste per la potestà cautelare che lo Stato esercita, non a tutela del suo credito, bensì nell’interesse alla repressione dei reati» (Sez. 1 civ., n. 24326 del 03/11/2020, Rv. 659654 – 01).

Anche in tal sede, infatti, si è evidenziato come i diritti di credito dei terzi non appaiono ricompresi nell’ambito ristretto indicato dall’art. 12-bis, cit., posto che l’unico limite alla confiscabilità è rappresentato dalla “appartenenza” del bene a persona estranea al reato.

Si è poi condivisibilmente aggiunto che se, in materia di reati tributari, il profitto è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale ed il legislatore ha attribuito solo al pagamento del tributo un effetto ostativo rispetto alla confisca ed al sequestro preventivo, valorizzando un’idea di confisca quale misura sussidiaria e post-riparatoria (cfr., art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000), la conseguenza che  si deve trarre – anche per tal via – è quella della prevalenza assoluta delle esigenze recuperatorie del profitto stesso: non è, infatti, in questione il mero pagamento di un debito tributario (che segue le regole previste dalla legge fallimentare e dal codice della crisi d’impresa), ma l’assicurazione alla mano pubblica del profitto del reato (rispetto al quale detto debito costituisce solo il parametro di quantificazione), ciò che ne preclude l’assimilabilità ai beni suscettibili di distribuzione tra i creditori.

Alla luce delle argomentazioni fin qui esposte, la questione oggetto di rimessione, perimetrata negli ambiti temporali già indicati, va quindi risolta enunciando il seguente principio di diritto: «L’avvio della procedura fallimentare non osta all’adozione o alla permanenza, se già disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari».

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.