Condannato per bancarotta distrattiva l’amministratore che non prova analiticamente la legittima destinazione delle somme prelevate dalle casse sociali dell’impresa fallita.
Segnalo la sentenza numero 40988.2023 – depositata il 09.10.2023, resa dalla sezione quinta penale della Corte di Cassazione, che ha ritenuto sussistente il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione commesso dall’amministratore di una cooperativa fallita che non fornisce nel corso del processo penale adeguata giustificazione dell’impiego – per scopi aziendali – delle somme prelevate dai conti correnti dell’ente.
La Suprema Corte, rigettando il motivo di ricorso con il quale la difesa dell’imputato aveva sostenuto, ma non adeguatamente provato, la destinazione da parte dell’imputato delle somme prelevate dalle casse sociali dell’impresa per adempiere alle obbligazioni sociali (pagamento stipendi e fornitori), ha ritenuto di dare continuità al consolidato orientamento giurisprudenziale che ha reiteratamente enunciato il principio di diritto che segue:
“Pertanto, trova applicazione il principio per cui la prova della distrazione può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione al soddisfacimento delle esigenze della società dei beni risultanti dagli ultimi documenti attendibili, anche risalenti nel tempo redatti prima di interrompere l’esatto adempimento degli obblighi di tenuta dei libri contabili (Sez. 5, n. 6548 del 10/12/2018, dep. 11/02/2019, Villa, Rv. 275499 — 01).
Per altro non ha offerto alcuna spiegazione in ordine alla destinazione aziendale del denaro prelevato.
In tal senso assolutamente consolidato è l’orientamento che trae la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, Ranon, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, Ghirardelli, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, Zanettin, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv. 231411). Solo nel caso in cui vi sia una indicazione specifica della destinazione aziendale dei beni da parte del fallito, il giudice non può ignorarne l’affermazione, quando però le informazioni fornite alla curatela, al fine di consentire il rinvenimento dei beni potenzialmente distratti, siano specifiche e consentano il recupero degli stessi ovvero l’individuazione della effettiva destinazione (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 – 01; mass. conf. n. 19896 del 2014 Rv. 259848 – 01).
Ma nel caso in esame non indica nel dettaglio i fornitori e i dipendenti pagati con il denaro prelevato.
Pertanto correttamente la Corte di appello ha ritenuto la destinazione al pagamento – per ‘cause sociali’ delle somme prelevate – esclusivamente asserita dall’imputato ma mai comprovata, né la stessa può essere tratta dal disinteresse dei creditori interpellati dal curatore, in vero parziale e senza che emerga il valore degli importi vantati da tali creditori nell’insieme.”.
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