Reati tributari: è legittimo il sequestro preventivo dell’immobile di proprietà della figlia dell’indagato che vi abita e si è adoperato per il suo acquisto.

Segnalo la sentenza numero 47911/2023 – depositata il 01/12/2023, resa dalla Suprema Corte – sezione terza penale, che è tornata ad affrontare il tema giuridico del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni di proprietà di soggetti estranei all’indagine dei quali l’indagato ne abbia il possesso.

Nel caso di specie il ricorso per cassazione veniva interposto dal terzo interessato (soggetto non coinvolto nel procedimento penale) contro l’ordinanza del Tribunale cautelare che aveva confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. in ordine al reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 eseguito su un immobile intestato alla figlia (ricorrente) della persona sottoposta ad indagine penale.

Si evidenzia che la difesa della proprietaria dell’immobile aveva sostenuto la illegittimità del provvedimento cautelare reale in quanto, pur abitando altrove, aveva  mantenuto la residenza presso l’appartamento in temporanea ablazione, l’intestazione delle relative utenze,  nonché contratto un mutuo per l’acquisto e la ristrutturazione dell’appartamento.

La Corte di legittimità ha dichiarato inammissibile il  ricorso.

Di seguito vengono riportati i passaggi della motivazione di interesse per il presente commento:

“Secondo un indirizzo interpretativo del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, «in tema di confisca per equivalente, la “disponibilità” del bene, quale presupposto del provvedimento, non coincide con la nozione civilistica di proprietà, ma con quella di possesso, ricomprendendo tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricade nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di esso venga esercitato tramite terzi, e si estrinseca in una relazione connotata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà» (Sez. 3, n. 4887 del 13/12/2018, dep. 2019, De Nisi, Rv. 274852 – 01).

In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, deve osservarsi che il provvedimento impugnato si sottrae alle censure difensive, avendo valorizzato non solo il fatto, di intrinseco indiscutibile rilievo, che risultava residente (con la moglie e l’altra figlia) nell’immobile per cui è causa (dove anche la ricorrente aveva la formale residenza, pur non avendovi mai abitato), ma anche le ulteriori circostanze per cui, da un lato, era stato a condurre le trattative per l’acquisto (esprimendo l’intendimento di acquistare una casa per tutta la famiglia); d’altro lato, l’immobile era stato poi acquistato da accendendo un mutuo, ma la considerevole somma utilizzata per la ristrutturazione (ben 170.000 Euro tra il 2019 e il 2021) era stata erogata in parte da lei stessa (pur disponendo del solo introito di 2/3.000 Euro mensili, derivante dalla carica di amministratrice della ovvero da quest’ultima (pur trattandosi di spese palesemente estranee all’attività di impresa).

A fronte di tali evidenti criticità nella individuazione delle risorse necessarie da parte della [OMISSIS] (tali da rendere priva di ogni plausibilità l’ipotesi, prospettata in ricorso, di un atto di liberalità della figlia in favore del padre), il Tribunale ha altresì posto in rilievo il contemporaneo, massiccio ricorso al prelievo di danaro contante da parte del padre della ricorrente (cfr. pag. 4-5 dell’ordinanza impugnata).

Si tratta di un percorso argomentativo che non solo consente di escludere che si versi in ipotesi di assenza o mera apparenza della motivazione, ma che appare in linea – specie nell’attuale fase cautelare – con la elaborazione giurisprudenziale in tema di “appartenenza”, nel senso precedentemente chiarito: essendo stata posta in rilievo, da parte del Tribunale, non solo il sicuro intervento di nelle fasi dell’acquisto, ma anche una situazione di effettiva riferibilità a quest’ultimo dell’immobile per cui è causa”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.