Legittima la condanna penale per il delitto di omessa dichiarazione fondata sullo spesometro soprattutto se corroborato dalla acquisizione delle fatture presso i rispettivi destinatari.

Segnalo la sentenza numero 50758/2023 – depositata il 20/12/2023, resa dalla Corte di cassazione -sezione terza penale, che si è pronunciata sulla questione giuridica del valore probatorio che assume ai fini della prova della consumazione dei reati tributari l’acquisizione in dibattimento del risultato degli accertamenti sintetici per la ricostruzione del reddito evaso svolti dalla Guardia di Finanza in sede di indagine amministrativa.

Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità dell’imputato, rinviato a giudizio per i reati di omessa dichiarazione ed occultamento delle scritture contabili, quale legale rappresentante della omonima ditta individuale esercente attività edile.

Con il ricorso per cassazione la difesa del giudicabile lamentava vizio di legge e di motivazione anche in riferimento al ritenuto raggiungimento della prova della commissione del reato p. e p. dall’art.5 d.lgs. n.74/2000 sulla base degli accertamenti della Guardia di Finanza aventi natura deduttiva.

La Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, dando continuità al principio di diritto che segue:

“Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione dei principi relativi alla utilizzabilità, in sede penale, degli esiti degli accertamenti operati in sede tributaria che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, si sono avvalsi di un metodo di accertamento analitico.

Va premesso che nessuna norma vieta al giudice penale di avvalersi, ai fini della prova dei reati tributari, delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria.

Ciò discende dal principio di atipicità dei mezzi di prova operante nel processo penale, di cui è espressione l’art. 189 cod. proc. pen., sulla base del quale il giudice può avvalersi dell’accertamento induttivo, compiuto dagli Uffici finanziari, per la determinazione dell’imposta dovuta, ferma restando l’autonoma valutazione degli elementi emersi secondo i criteri generali previsti dall’art. 192, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 36207 del 19/08/2019, Rv. 277581 – 01), al di fuori di qualunque presunzione e di ogni predeterminazione del loro peso probatorio. E’, dunque, per tale ragione che questa Corte ha affermato che il giudice penale può legittimamente avvalersi (v. tra le altre, Sez. 3, n. 24811 del 28/04/2011, Rocco, Rv. 250647 e Sez. 3, n. 40992 del 14/05/2013, Ottaviano, Rv. 257619) dell’accertamento induttivo, effettuato, mediante gli studi di settore, dagli Uffici finanziari per la determinazione dell’imponibile (Sez.3, n. 36207 del 17/04/2019 Ud. (dep. 19/08/2019) Rv. 277581). Del resto, anche meno recentemente, si è sempre ritenuto che, sebbene i criteri stabiliti per l’accertamento sintetico del reddito imponibile, attraverso il così detto “redditometro”, non siano per il giudice penale fonti di certezza legale, tuttavia costituiscono elementi indiziari corrispondenti a criteri logici, utilizzabili per una corretta motivazione della sentenza di condanna (Sez. 3, n. 7491 del 21/06/1991 Ud. (dep. 12/07/1991) Rv. 188181; Sez. 3, n. 39960 del 30/09/2019, Rv. 276890 – 01, non massimata sul punto). Nel caso in disamina, la Corte territoriale ha precisato, innanzitutto, che l’imputato non contesta l’omessa presentazione della dichiarazione IRPEF relativa al 2014, ma lamenta l’inutilizzabilità degli accertamenti effettuati dalla Guardia di finanza.

La Corte territoriale ha tuttavia evidenziato che l’accertamento fiscale si è basato su verifiche effettuate dalla Guardia di finanza alla luce dei dati inseriti nell’anagrafe tributaria ed acquisiti mediante l’invio di questionari ai clienti della società e ai fornitori.

Tali dati, tratti dal c.d. spesometro, sono stati confrontati con le fatture emesse dalla società, reperite durante la fase delle indagini a seguito dell’invio della copia da parte dei clienti e fornitori interrogati in fase di accertamento. La documentazione bancaria acquista, infine, ha fornito pieno riscontro degli addebiti mossi al ricorrente. La Corte territoriale ha, dunque, sul punto, richiamato quanto affermato dagli organi accertatori, i quali si sono avvalsi di un metodo di accertamento niente affatto deduttivo, come sostenuto dall’appellante, ma induttivo ed integrato, basato sulla precedente attività di verifica svolta dalla Guardia di finanza”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA