Dichiarazione fraudolenta ed indebita compensazione per il commercialista che appone il visto “leggero” di conformità omettendo la verifica sostanziale sulla regolarità delle fatture di acquisto.
E’ il principio di diritto fissato dalla terza sezione penale della cassazione con la sentenza numero 14954/2024 − depositata l’11/04/2024, che si è pronunciata sul tema giuridico della penale responsabilità del professionista contabile che appone il cosiddetto visto leggero di conformità per validare la compensazione dei tributi poi tradotta nella successiva dichiarazione fiscale, sulla base di fatture rivelatesi oggettivamente inesistenti all’esito del processo.
Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, ritenuto provata la penale responsabilità del professionista in quanto, nella qualità di caoadiutore del gestore di fatto della società, aveva compensato – certificandone la regolarità – crediti IVA inesistenti per un importo superiore alla soglia di punibilità poi utilizzati anche nelle dichiarazioni fiscali del medesimo Ente per ridurre la base imponibile e quindi l’imposta da versare all’Erario.
Con il ricorso per cassazione la difesa del giudicabile aveva articolato plurimi motivi di impugnazione, censurando, per quanto di interesse per la presente nota, vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ascritto all’imputato la responsabilità concorsuale per avere omesso una serie di controlli diversi da quelli meramente numerici relativi all’importo delle fatture a debito risultate emesse per operazioni inesistenti.
La Suprema Corte ha disatteso la tesi difensiva tracciando nella parte motiva il perimetro della responsabilità del professionista in riferimento alle componenti materiale e psicologica dei reati tributari previsti e puniti dagli artt. 2 e 10 quater d.lgs. n.74/2000:
“Va innanzitutto rilevato, che, sotto il profilo obiettivo, la condotta di rilascio, da parte di un professionista abilitato, del c.d. visto “leggero” di conformità della dichiarazione IVA, in difetto dei presupposti necessari, configura contributo rilevante, a norma dell’art. 110 cod. pen., con riferimento ai reati di cui all’art. 2 e di cui all’art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, in relazione alla dichiarazione IVA fraudolenta certificata dal professionista ed all’indebita compensazione di crediti inesistenti risultanti da tale dichiarazione.
Invero, la condotta del professionista che rilascia indebitamente il visto “leggero” di conformità ad una dichiarazione IVA:
a) con riferimento al reato di dichiarazione fraudolenta, offre un contributo quanto meno agevolatore e di rafforzamento del proposito criminoso, anche perché di norma l’apposizione del visto precede la presentazione della dichiarazione (il visto c.d. “leggero” deve attestare, tra l’altro, a norma dell’art. 2 D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d’imposta);
b) con riguardo al reato di indebita compensazione, costituisce contributo causale, in quanto presupposto formale necessario (almeno in via alternativa ad altri) per effettuare le compensazioni di crediti IVA, a norma dell’art. 10, comma 7, d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito dalla l. 3 agosto 2009, n. 102).
E, del resto, la configurabilità di un contributo concorsuale rilevante ex art. 110 cod. pen. non è stata specificamente contestata nel ricorso.
Va poi evidenziato che, per individuare il tipo di controlli che il professionista deve compiere al fine del rilascio della certificazione, la disposizione di immediato interesse è costituita dall’art. 2 D.M. Finanze 31 maggio 1999, n. 164, la quale prevede, al comma 1, il visto di conformità c.d. “leggero” e, al comma 2, il visto di conformità c.d. “pesante”.
La disposizione appena citata, in particolare, precisa, con riferimento al visto di conformità c.d. “leggero”, che il rilascio dello stesso “implica il riscontro della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione e alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto“.
Ne discende che risulta doverosa, da parte del professionista, la verifica in ordine ai documenti relativi ai dati esposti nella dichiarazione.
E questa verifica non può intendersi ridotta ad un semplice controllo aritmetico di corrispondenza tra il dato numerico riportato nelle fatture e quello indicato in dichiarazione, così da prescindere persino da accertamenti formali di immediata effettuazione, o, addirittura, da verifiche sulla documentazione strettamente correlata alle operazioni indicate in fattura e anch’essa nella disponibilità del dichiarante (cfr., per conclusioni analoghe, Sez. 3, n. 19672 del 13/03/2019, Cartechini, Rv. 275998-01, in motivazione par. 9).
In questa prospettiva, nel caso di specie, una omissione di assoluto rilievo è costituita dalla mancata effettuazione di qualunque approfondimento dopo il rilievo dell’incongruità del codice ATECO della società “(…) Srl” rispetto alle operazioni indicate nelle fatture, e per importi milionari; né tale omissione può essere esclusa solo perché la divergenza è stata semplicemente “sistemata” ex post, in sede di presentazione della dichiarazione, a distanza di tempo dalle transazioni.
Inoltre, sempre nella vicenda in esame, sono stati omessi accertamenti formali di immediata fattibilità, come quelli sulla operatività delle società emittenti al momento del rilascio delle singole fatture, o sulle modalità di pagamento, nonostante gli importi fossero cospicui e, per legge, dovessero essere necessariamente tracciabili.
Va quindi osservato che, sotto il profilo del coefficiente della colpevolezza, è necessario che il professionista rilasci il visto “leggero” di conformità omettendo consapevolmente di compiere i controlli dovuti dai quali sarebbe emersa la fraudolenza della dichiarazione fiscale, ed accettando il rischio di agevolare la presentazione di una dichiarazione fraudolenta.
Nella specie, la sentenza impugnata ha indicato sia numerose omissioni di [omissis] in ordine a controlli doverosi, sia specifici elementi dai quali il medesimo avrebbe dovuto inferire la irregolarità dei documenti sottoposti al suo esame. In particolare, sotto il profilo formale, vanno evidenziate: a) l’accettazione di una mera sistemazione ex post e a distanza di tempo dell’incongruenza del codice ATECO della società “(…) Srl” rispetto alle fatture contabilizzate; b) la mancata verifica, semplicemente formale, sull’operatività delle ditte emittenti le fatture; c) la mancata verifica in ordine all’effettuazione dei pagamenti delle fatture e ai documenti di trasporto della merce.
E tutto questo nonostante si trattasse di fatture: 1) per un imponibile complessivo di 8.216.131,48 euro, comprensivo di IVA per 1.481.597,48 euro, maturato in un semestre, e con riferimento ad una società appena costituita; 2) di identica veste grafica sebbene provenienti da società diverse”.
By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.