Bancarotta documentale: la qualità di amministratore di fatto della società fallita non può essere riconosciuta solo perché l’imputato impartiva direttive all’impiegata amministrativa.

E’ il principio di diritto fissato quinta sezione penale della  Suprema Corte con la sentenza numero17039/2024  – depositata il 23/04/2024 che è tornata ad affrontare il tema giuridico degli indici probatori che devono ricorrere affinché possa ascriversi all’imputato di reati fallimentari la penale responsabilità per il fatto di reato contestato quale amministratore di fatto dell’impresa.  

Nel caso in disamina i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, ritenuto l’imputato responsabile del reato di bancarotta fraudolenta documentale per avere assunto, dopo la cessazione della carica di amministratore di diritto della società decotta, quella di fatto della medesima impresa collettiva, per poi divenirne di nuovo amministratore due mesi prima del fallimento (ora dichiarazione di insolvenza).

Contro la sentenza di appello la difesa interponeva ricorso per cassazione articolando plurimi motivi di ricorso; per quanto di interesse per la presente nota, veniva dedotto vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata per avere ritenuto sufficiente ad attribuire al giudicabile  la qualità di dominus occulto dell’Ente sulla sola base della testimonianza di una dipendente che  aveva riferito nel corso del processo di avere  ricevuto delle direttive da seguire per lo svolgimento delle proprie mansioni.     

La Suprema Corte ha accolto l’impugnazione di legittimità annullando con rinvio per nuovo giudizio  la sentenza impugnata. 

Di seguito vengono riportati i passaggi della motivazione che tratteggiano la regola general  di giudizio da seguire per riconoscere la qualità di amministratore di fatto in capo all’imputato non soddisfatta nel caso scrutinato:

La qualità di amministratore di fatto. 

….. Occorre premettere che la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, talché la posizione dell’amministratore di  fatto, destinatario delle  norme  incriminatrici  della bancarotta fraudolenta, si traduce, nell’ambito processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge f unzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’ iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi – rapporti di lavoro  con  dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti –  in qualsiasi branca     aziendale,     produttiva,     amministrativa,     contrattuale,     disciplinare.

L’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di f atto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica (cf r. Sez. 5, 14 aprile 2003,  n.  22413,  Rv.  224948;  Sez.  1, 12 maggio 2006,  n. 18464, Rv. 234254).

In sostanza, può essere accertata l’amministrazione di f atto della società in presenza   di  elementi  sintomatici  dell’inserimento   organico  del  soggetto  con f unzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale  dell’attività  della  società,  quali i rapporti con i dipendenti,  i fornitori..”

La carenza di  motivazione nel caso di specie.

Nella fattispecie in esame, considerato che lo stesso ricorrente ha ammesso di aver continuato a lavorare nella gestione delle pratiche amministrative della società fallita  dopo  la  dismissione  della   carica  formale,  non  può  ritenersi sufficiente ai fini della  prova della gestione di f atto della società da parte dello stesso   la testimonianza   della  dipendente    valorizzata   in  maniera pressocché decisiva da entrambe le pronunce di  merito,  nel  senso  che  ella riceveva  direttive  dall’imputato   per lo svolgimento  della  sua  attività  lavorativa.

Quella  descritta  è  infatti  una  condotta  che  assume  valenza  “neutra” se non corroborata da altri indici, ossia da concreti atti di gestione dell’impresa, perché potrebbe essere ben posta in essere anche da un dipendente con mansioni direttive o comunque superiori rispetto a quello che riceve le indicazioni per lo svolgimento del suo lavoro”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.