In presenza di diverse linee guida il sanitario deve selezionare quelle maggiormente prudenziali rispetto alla condizione clinica del paziente.

E’ il principio di diritto ribadito dalla quarta sezione penale della cassazione con la sentenza numero con la sentenza numero 17678/2024 – depositata il 06/05/2024, che si si è nuovamente pronunciata sul tema giuridico della regola di giudizio che il magistrato penale deve osservare per valutare la liceità della condotta del sanitario rinviato a giudizio per rispondere di reati colposi di evento (lesioni personali od omicidio nel caso di decesso del paziente).

Secondo la stabile  giurisprudenza di legittimità sedimentata intorno agli artt. 5 e 6 (quest’ultimo ha introdotto l’art. 590 sexies cod. pen.) della legge Gelli – Bianco, il principale metro di valutazione giurisdizionale dell’operato dell’agente è rappresentato dalle linee guida  che costituiscono parametri precostituiti ai quali il giudice deve tendenzialmente attenersi nel valutare l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia, con obbligo da parte del sanitario di discostarsene nel caso in cui esse risultino inadeguate rispetto all’obiettivo della migliore cura del paziente.

Nel caso in disamina l’addebito di colpa per omicidio colposo elevato nei confronti imputato era quello di avere – nella propria qualità di medico specialista endoscopista in servizio presso l’ospedale – effettuato una sedazione mediante somministrazione combinata di Meperidina e Midazolam in autonomia e senza ricorrere, ai fini dell’affidamento della gestione della sedazione, all’ausilio di uno specialista in anestesia e rianimazione, il quale avrebbe  potuto  evitare  il verificarsi  di  eventi  avversi  dovuti  al  sovradosaggi farmacologico o comunque garantito una loro immediata gestione; nonché quello di  avere  proceduto  alla   lenta  titolazione   dei  predetti  farmaci omettendo  di somministrarli a dosi iniziali ridotte ed eventualmente  ripetute, fino a ottenere un livello di sedazione idoneo alle necessità del caso.

Sulla base degli esiti della perizia disposta nel corso del giudizio di primo grado i giudici del doppio grado di merito avevano affermato la penale responsabilità dell’imputato per il delitto di omicidio colposo ascritto al giudicabile ritenendo che l’omissione delle superiori cautele avesse ciostituito antecedente causale della morte del paziente. 

La specificità della fattispecie in disamina è rappresentata dalla circostanza che la difesa del giudicabile, nel corso del processo, aveva allegato la circostanza secondo la quale la condotta del chirurgo, che aveva operato senza l’ausilio dell’anestesista, non poteva ritenersi affetta da colpa perché conforme alle linee guida dell’azienda ospedaliera che, per casi analoghi, non contemplavano l’affiancamento dell’anestesista al chirurgo previsto invece da quelle dettate dalla Società Italiana Endoscopia Digestiva.

La superiore tesi difensiva veniva articolata anche con il ricorso per cassazione che, tuttavia, non ha trovato accoglimento da parte della Suprema Corte per le ragioni che seguono:    

Nel caso di specie, quindi, il riferimento alla presenza di diverse linee guida – ovvero di quelle SIED e di quelle ASGE, delle quali hanno dato atto gli stessi periti nominati nel corso del primo grado di giudizio – non comporta che l’adesione alle regole dettate da uno dei due protocolli sia, di per sé stessa, idonea a escludere la responsabilità del sanitario in relazione alle specificità del caso concreto.

Deve quindi rilevarsi che – con motivazione coerente con i predetti principi e non palesemente illogica – i giudici di merito hanno dato atto che, in relazione alle concrete condizioni del paziente (grande anziano e presentante molteplici comorbilità) e in presenza della sua qualificazione nella categoria ASA3 dal punto di vista del rischio anestesiologico, il sanitario avrebbe comunque dovuto attenersi al contenuto delle linee guida SIED, con conseguente raccomandazione della presenza di un medico anestesista durante tutto lo svolgimento della procedura di sedazione propedeutica rispetto all’esame specialistico.

Le considerazioni che precedono comportano quindi – per diretta conseguenza logica – l’infondatezza dell’argomentazione inerente al rilievo difensivo riguardante la conformità della procedura adottata rispetto al protocollo aziendale seguito nell’unità di endoscopia e prevedente deroghe rispetto alla presenza di un anestesista; tanto in quanto i giudici di merito – con argomentazioni da ritenere pienamente coerenti con i predetti principi – hanno comunque rilevato che tale atto, avente mera efficacia interna, non poteva assumere alcuna efficacia esimente; e ciò sia in quanto non adattabile alla cura e alle prescrizioni imposte nel caso di specie e sia in quanto, in ogni caso, non corrispondente al contenuto delle linee guida richiamabili nel caso medesimo.

Rilevando comunque che il relativo protocollo, nel raccomandare l’adozione della procedura di sedazione profonda, per pazienti con gravi comorbilità – come nel caso di specie – raccomandava espressamente la gestione della procedura da parte di un medico anestesista”.

By Claudio Ramelli RIPRODUZIONE RISERVATA