Omesso versamento ritenute previdenziali: la Cassazione elimina la pena inflitta con condanna definitiva per violazioni inferiori ad euro 10.000 annui.

E’ il principio di diritto affermato dalla prima sezione penale della cassazione con la sentenza numero 19708/2024 – depositata il 17/05/2024, che si è pronunciata sugli effetti della parziale depenalizzazione operata dall’art. 3, comma sesto, d.lgs.n.08/2016 del reato di omesso versamento ritenute previdenziali, previsto e punito dall’art. 2, comma 1 bis, d.l. n.463del 1983.

Il ricorso per cassazione veniva proposto contro l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, che operando in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva revocato le condanne inflitte all’imputato per alcune annualità per le quali l’inadempimento del datore di lavoro risultava inferiore alla soglia di punibilità senza, tuttavia, ridurre la pena comminata con il decreto penale che si riferiva anche ad altri segmenti temporali per i quali non operava l’abolitio criminis trattandosi di omissioni superiori alla soglia di punibilità.

La Suprema Corte ha accolto l’impugnazione di legittimità interposta dalla difesa del condannato per le ragioni espresse nella parte motiva della sentenza in commento di seguito riportata:

Ciò premesso, è fondata la censura con la quale la difesa ha lamentato che, alla corretta revoca della condanna per il reato di omesso versamento dei contributi previdenziali per l’annualità in cui i relativi importi non superavano la soglia di punibilità, non è seguita l’eliminazione della relativa pena.

Tale errore può essere rettificato dal Collegio ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen.

E, invero, nel giudizio di legittimità, i casi di rettificazione elencati nell’art. 619, commi 1 e 2, cod. proc. pen. non sono tassativi ed è quindi suscettibile di rettificazione ogni altro erroneo enunciato contenuto nella sentenza impugnata, del quale sia palese e pacifica la riconoscibilità, qualora non comporti la necessità dell’annullamento (Sez. 1, n. 35423 del 18/06/ 2014, Ortolano, Rv. 260279.In motivazione, la Corte ha precisato che questa regola discende dai principi dell’economia, dell’efficienza processuale e della massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto e attività non essenziale).

Il principio è  stato  recentemente  ripreso  da   Sez.   U., n.24701 del 29/09/ 2022, Galdini, Rv. 283754, nella cui motivazione si è precisato che «Con specifico riguardo all’art. 619 cod. proc. pen., le Sezioni Unite hanno infatti individuato la ratio della norma nell’esigenza di evitare l’annullamento della decisione impugnata in tutte le occasioni nelle quali si possa rimediare a errori o cadute di attenzione del giudice a quo lasciando inalterato il contenuto decisorio essenziale della sentenza impugnata (Sez. U, n. 9973 del  24/06/1998,  Kremi, Rv. 211072). La Suprema Corte ha peraltro rilevato in altre decisioni che la norma in esame, nel prevedere la rettificazione nel giudizio di legittimità, costituisce disposizione speciale e derogatoria della più generale disciplina della correzione di errori materiali dettata dall’art. 130 cod. proc. pen., nella parte in cui consente alla Corte di cassazione di procedere direttamente alla correzione anche in presenza della condizione ostativa posta dall’art. 130 cod.  proc.  pen. nel precludere tale facoltà al giudice competente a conoscere dell’impugnazione, ove la stessa sia dichiarata inammissibile (Sez. 3, n. 30286 del 09/03/ 2022, Nardelli, Rv. 283650; Sez. 3, n. 19627 del 04/03/ 2003, Rv. 224846; Sez. 1, n.2149 del 27/11/1998, dep. 1999, Rv. 212532). A prescindere da quest’ultimo aspetto, l’art. 619 cod. proc. pen. riprende pertanto dall’art. 130 cod. proc. pen. il fondamento definitorio dell’errore che giustifica la mera correzione in luogo dell’annullamento.

Questi tratti fondamentali sono stati nitidamente delineati, ancora dalle Sezioni Unite, nella definizione dell’errore correggibile quale divergenza evidente e casuale fra la volontà del giudice e il correttivo mezzo di espressione, della quale costituiscono manifestazioni tipiche l’errore linguistico e quello immediatamente rilevabile dal contesto interno della sentenza (Sez. U, n. 7945 del 31/ 01/2008, Boccia, Rv. 238426). Il limite dell’errore rilevabile con la procedura di correzione e, nel giudizio di legittimità, di rettificazione, rispetto al vizio che impone viceversa l’annullamento della sentenza impugnata, viene a esserne ricostruito, in negativo, nell’ininfluenza sul contenuto decisorio della sentenza impugnata; e, in positivo, nell’evidente divergenza fra il dato testuale e l’effettiva volontà del decidente».

Ed è ciò che è accaduto nel caso che ci occupa, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla rideterminazione della pena inflitta con il decreto penale n. 396 del 2003, pena che ridetermina – con riferimento al delitto di omesso versamento di contributi previdenziali nell’anno 2001 – in euro 1.666,00 di multa, in sostituzione di giorni quaranta di reclusione ed euro 400,00 di multa”.

By Claudio Ramelli RIPRODUZIONE RISERVATA