Non basta trasferire il patrimonio della fallita ad altre società per configurare l’autoriciclaggio oltre alla bancarotta distrattiva.
E’ il principio di diritto fissato dalla quinta sezione penale della cassazione con la sentenza numero 20152/2024 – depositata il 21.04.2025, resa dalla quinta sezione penale della Corte di Cassazione che è tornata a definire i rapporti tra la norma incriminatrice fallimentare che punisce la bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione (art.216 L.F.) ed il delitto codicistico di autoriciclaggio (art. 648, ter 1, cod. pen.), ritenendo la condotta ascritta all’indagato inidonea a fungere da ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa del patrimonio sociale distratto.
Il reato contestato ed il giudizio cautelare personale.
Nel caso di specie, il locale Tribunale del riesame adito dalla difesa dell’indagato, aveva annullato, parzialmente, l’ordinanza custodiale personale degli arresti domiciliari applicata nei confronti del prevenuto per il delitto di autoriciclaggio, ritenendo che il nucleo della condotta contestata all’indagato, quanto al delitto contro il patrimonio, consistesse nel trasferimento dei fondi dalla fallita alle società beneficiarie e coincidesse, pertanto, con la stessa condotta distrattiva contestata.
La decisione della Cassazione.
Contro l’ordinanza dei Giudici cautelari ricorreva per cassazione il PM, sostenendo che il trasferimento di somme integrasse la condotta dissimulatoria tipica dell’autoriciclaggio, tresi disattesa dalla Suprema Corte che si è posta in continuità con la dominante giurisprudenza di legittimità sedimentata interno alla questione giuridica in disamina.
Di seguito si riportano ampi passaggi estratti dalla parte motiva della sentenza in commento che precisano, con estrema chiarezza, il discrimine tra le due fattispecie di reato, del quale deve fare applicazione il giudice di merito:
“Un primo, fondamentale rilievo svolto correttamente dal Collegio della cautela attiene alla struttura stessa della fattispecie di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen., struttura che vede la condotta di autoriciclaggio collocarsi temporalmente dopo la commissione del reato presupposto. Il legislatore, infatti, ha tenuto distinti i due momenti, quello di commissione del primo reato che ha generato i beni, il denaro o le altre utilità e quello in cui queste ultime vengono impiegate, sostituite o trasferite in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.
Depongono in questo senso l’utilizzo del gerundio passato nella frase «avendo commesso o concorso a commettere un delitto» e del participio presente nell’ulteriore sintagma «provenienti dalla commissione di tale delitto», termini che segnano la precisa volontà di individuare un “prima” logico—giuridico — la commissione del reato che genera la risorsa — e un “dopo” — l’impiego di quest’ultima nell’attività economica, finanziaria, imprenditoriale o speculativa.
Conferma la correttezza di questa lettura della disposizione la persuasiva delineazione della tipicità della condotta di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. che si deve a Sez.. 331 del 12/11/2020, deo. 2021, Ginatta, Rv. 280169, secondo cui, appunto, <rema di autoriciclaggio, il perfezionamento del delitto presupposto deve precedere il momento consumativo del reato di cui all’art. 648-ter cod. pen.»; l’arresto evocato ha posto l’accento proprio sul rapporto tra reato “presupposto”, come tale necessariamente antecedente e già realizzatosi compiutamente nei suoi elementi costitutivi, e quello di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen., richiamando, a conferma della conclusione raggiunta, quanto già ritenuto, in motivazione, da Sez. 2, n. 23052 del 23/04/2015, Bagnoli.
D’altra parte, una lettura diversa del dato normativo porrebbe il problema della reciproca delimitazione delle condotte tipiche ex artt. 216 legge fall. e 648-ter.1 cod. pen. e della possibilità che i reati concorrano, con particolare riferimento ai casi — come quello sub iudice — in cui la distrazione del denaro sia avvenuta a beneficio di società operative, aggregati che, per loro stessa natura (salvo ipotizzare la creazione di una riserva alimentata con il denaro distratto e non immediatamente utilizzata), adoperano le risorse provento della distrazione nella quotidiana attività imprenditoriale.
L’attività dell’interprete non è agevole, in quanto inevitabilmente suggestionata dalla costruzione della fattispecie di cui all’art. 648-ter. 1 cod. pen., che vede come uno dei possibili momenti consumativi quello dell’impiego della risorsa, tra l’altro, in attività imprenditoriali, impiego cui un’esegesi poco meditata potrebbe ricondurre ogni fatto di distrazione a favore di una società — quindi di un’attività di impresa — che fisiologicamente utilizzi quanto viene immesso nelle sue disponibilità.
Sul tema questa Corte si è più volte pronunziata, recependo, sviluppando e puntualizzando un’interpretazione che richiede, affinché sia integrata una condotta di autoriciclaggio che sia distinta dal momento distrattivo — e quindi, da quello in cui si realizza l’attività predatoria ai danni dell’impresa fallita che costituisce l’in se della bancarotta fraudolenta per distrazione — un quid pluris, cioè un’attività ulteriore rispetto alla sottrazione della risorsa all’impresa fallita, che eviti indebite sovrapposizioni applicative tra le due disposizioni.
Proprio intorno alla centralità di tale connotato ulteriore si sono sviluppate diverse decisioni di questa Corte, nello sforzo di delimitare i confini applicativi dell’autoriciclaggio e di individuare i casi in cui tale norma incriminatrice possa trovare applicazione accanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva; si è così affermato che non integra il reato di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. il mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare a favore di imprese operative, occorrendo a tal fine un quid pluris che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene (Sez. 5, n. 8851 del 01/02/2019, Petricca, Rv. 275495; Sez. 5, n. 38919 del 05/07/2019, De Marco, Rv. 276853; in termini, non massimate, Sez. 2, n. 7171 dell’11/11/20 dep. 24/2/21; Sez. 1, n. 33394 dell’1/10/20; Sez. 5, n.33130 del 17/9/20; Sez. 2, n. 16059 del 18/12/19, dep. 27/5/20; Sez. 5, n.1564 del 16/12/19, dep. 16/1/20; Sez. 5, n. 51121 del 16/10/19, Sez. 2, n. 44199 del 4/7/19; Sez. 2, n. 44198 del 4/7/19; in linea, ma sui rapporti tra appropriazione indebita e autoriciclaggio, Sez. 2, n. 7074 del 27/01/2021, De Campo, Rv. 280619).
In seno a questo orientamento si è poi precisato (Sez. 2, n. 13352 del 14/03/2023, Carabetta, Rv. 284477) che è configurabile la condotta dissimulatoria tipica dell’autoriciclaggio nel caso in cui, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso il mutamento dell’intestazione soggettiva del bene, in quanto la modifica della formale titolarità del profitto illecito è idonea a ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita e il successivo trasferimento. In motivazione si è operato un distinguo tra il caso in cui l’autoriciclaggio si identifichi nella distrazione di sole somme di denaro dalla fallita ad altre società — in cui si è ritenuta «l’effettiva coincidenza delle due condotte con violazione del principio di doppia incriminazione» — da quella in cui oggetto della contestazione ex art. 648-ter.1 cod.pen. non sia «la sola attività distrattiva di somme dalla società fallita bensì, anche, le attività successivamente poste in essere con il denaro distratto dalle
società beneficiarie dei pagamenti per cassa». Fermo restando che, qualora la distrazione riguardi somme di denaro passate dalla società poi fallita a quella che ne beneficia, non potrebbe integrarsi, oltre alla bancarotta, anche l’autoriciclaggio, il quid pluris che lo caratterizza è stato ravvisato da Sez. 2, n. 37503 del 21/06/2019, Correnti, Rv. 277514 nel caso di distrazione di azienda, «configurandosi un impiego in attività economiche e finanziarie dell’utilità di provenienza illecita». L’esegesi di Sez. 5, n. 1203 del 14/11/2019, dep. 2020, Hu Shaojing, Rv. 277854, infine, è centrata sull’idoneità della condotta a fungere da ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa del bene distratto, quale tratto caratterizzante dell’autoriciclaggio rispetto alla bancarotta che ne è presupposto; tratto ravvisato in un’ipotesi in cui vi era stata “polverizzazione” del patrimonio dell’impresa fallita, reimpiegato nella creazione di diverse società “cloni” intestate a prestanome.
In conclusione, è evidente che lo sforzo esegetico di questa Corte — sia che la riflessione verta sulla prospettata scansione temporale tra le condotte tipiche dei due reati, quello fallimentare e quello codicistico, sia che la medesima scansione sia riguardata valorizzando, quale momento rilevante di distinguo, il quid pluris che allontana il bene distratto dalla sua origine e che rende difficile l’individuazione della sua provenienza delittuosa — è in ogni caso proteso ad individuare i tratti distintivi delle due fattispecie e a fornire al Giudice di merito indicazioni esegetiche tali da evitare che la medesima condotta sia addebitata all’autore del fatto sia come distrazione che come impiego rilevante ex art. 648- ter.1 cod. pen.”
Rischio scongiurato dal Tribunale del riesame di Genova, che ha condivisibilmente ripudiato l’attuale ricostruzione accusatoria, quale emerge dalla contestazione elevata dal pubblico ministero a carico di [omissis] e recepita dal Giudice per le indagini preliminari, evidenziando come le stesse condotte ascritte all’indagato come distrattive integrassero anche l’addebito di autoriciclaggio, senza alcuna delimitazione cronologica dell’una e dell’altra condotta — il “prima” e il dopo” di cui si è detto sopra — e senza l’effettiva individuazione di tratti ulteriori che connotassero la condotta dell’indagato”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA