Esclusa la frode fiscale se il prezzo di vendita dei beni effettivamente corrisposto non corrisponde a quello di mercato.
E’ il principio di diritto fissato dalla terza sezione penale della cassazione con la sentenza numero 26520/2024 – depositata il 05/07/2024, che ha affrontato la questione giuridica del perimetro punitivo del reato tributario previsto e punito dall’art. 2 d.lgs. n.74/2000 quando il prezzo indicato nelle fatture di vendita – regolarmente saldato dal soggetto acquirente – si discosta sensibilmente da quello di mercato.
Nel caso in disamina i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità dell’imputato, rinviato a giudizio nella qualità di amministratore di una società in nome collettivo, produttrice e venditrice di vini di pregio, per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti per aver acquistato da una società agricola semplice con regime fiscale agevolato un importante quantitativo di uva ad un prezzo di molto superiore a quello di mercato.
Secondo quanto riferito dal funzionario dell’Agenzia delle Entrate nel corso del dibattimento ciò aveva comportato un indebito vantaggio fiscale per la s.n.c. acquirente in termini di versamento di minore imposta, tenuto conto, altresì, che l’impresa agricola versava in regime fiscale agevolato non soggetto alla ordinaria imposizione fiscale.
La difesa dell’indagato interponeva ricorso per cassazione contro la sentenza di appello sostenendo l’insussistenza della componente materiale del delitto tributario contestato.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso ed annullato senza rinvio la sentenza impugnata:
“…….Ciò posto, deve escludersi che le due fatture utilizzate nella dichiarazione della società s.n.c.” per l’anno 2012, e ritenute mendaci, possano essere ritenute «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti».
A norma dell’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000, ai fini del medesimo testo normativo, «per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivì».
Ora, deve escludersi che gli acquisti di beni effettivamente utilizzati per l’attività di impresa compiuti a prezzi incongrui, ma effettivamente corrisposti, costituiscano operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte, ovvero, operazioni che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale.
Invero, gli acquisti effettuati in riferimento a beni utilizzati per l’attività di impresa non possono ritenersi costituire «operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte» solo perché i prezzi corrisposti sono superiori, eventualmente anche di moltissimo, a quelli di mercato. Nell’ipotesi descritta, infatti, si è verificata una operazione di compravendita di “quei beni” per “quel prezzo”.
Allo stesso modo, gli acquisti effettuati in riferimento a beni utilizzati per l’attività di impresa costituiscono «operazioni […] che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale» solo perché i prezzi corrisposti sono superiori, eventualmente anche di moltissimo, a quelli di mercato.
Nell’ipotesi descritta, infatti, i corrispettivi sono stati indicati nella misura effettivamente versata; né, d’altro canto, viene in rilievo l’indicazione dell’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale.
L’ipotesi di acquisti effettuati in riferimento a beni utilizzati per l’attività di impresa per prezzi superiori a quelli di mercato, poi, è del tutto estranea all’ulteriore fattispecie normativa indicata dall’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000, ossia quella concernente «fatture […] che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi».
Le conclusioni esposte, peraltro, sono state già raggiunte nella giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare, Sez. 3, n. 1996 del 25/10/2007, dep. 2008, Figura, Rv. 238547 – 01, ma anche, indirettamente, in ragione della definizione accolta di fatture per operazioni inesistenti, Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, Moiseev, Rv. 278378 – 01, e Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, Custodi, Rv. 256675 – 01).
In particolare, si è precisato che «oggetto della sanzione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, tenuto conto dello speciale coefficiente di insidiosità che si connette all’utilizzazione della falsa fattura» e che, però, «diversa è l’ipotesi in cui si contesti la congruità dell’operazione che è stata realmente effettuata e pagata, che – a giudizio del Collegio – resta al di fuori delle previsioni dell’art. 2» (così Sez. 3, n. 1996 del 25/10/ 2007, dep. 2008, cit., la quale, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata «risultando in conclusione oscuro se si sia trattato – quanto alle fatture concretamente prese in considerazione – di sovrafatturazione quantitativa ovvero se si siano ritenute incongrue operazioni pur realmente pagate»).
Appare utile precisare, per chiarezza, che le fattura emesse in relazione ad una operazione nella quale i beni o i servizi indicati corrispondono a quelli ceduti o forniti e il prezzo è sì incongruo, ma effettivamente corrisposto, non sono in alcun modo riconducibili alle figure della “inesistenza relativa” e della “sovrafatturazione”, come puntualmente definite dalla giurisprudenza.
Precisamente, l’ipotesi di “inesistenza relativa” si verifica quando l’operazione vi sia stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura, mentre l’ipotesi di sovrafatturazione, definita anche “sovrafatturazione qualitativa”, si caratterizza per l’indicazione in fattura di un importo superiore a quello effettivamente corrisposto (cfr., specificamente, Sez. 3, n. 28352 del 21/05/ 2013, cit., e Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, cit.).
Per le caratteristiche appena descritte, le fatture emesse nei casi di “inesistenza relativa” dell’operazione e di “sovrafatturazione” danno luogo ad una «divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale», e, proprio per questa ragione, rientrano nell’ambito delle “fatture per operazioni inesistenti”, di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000 (vds., per questo rilievo: Sez. 3, n. 1998 del 15/11/ 2019, dep. 2020, cit.; Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, cit.; Sez. 3, n. 1996 del 25/10/ 2007, dep. 2008, cit.).
Le fatture relative ad operazioni nelle quali i beni o i servizi indicati corrispondono a quelli ceduti o forniti e il prezzo è sì incongruo, ma effettivamente versato, invece, descrivono in modo corrispondente alla realtà l’operazione eseguita, e, quindi, non implicano alcuna divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.
Escluso che le due fatture utilizzate nella dichiarazione della società [omissis]s.n.c.” per l’anno 2012, e ritenute mendaci dai Giudici di merito, possano essere qualificate «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti», non è in alcun modo configurabile la fattispecie di cuiall’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
L’art. 2 d.lgs. cit., infatti, prevede l’utilizzo in dichiarazione di «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» come specifico elemento costitutivo dellafattispecie incriminatrice.
Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto contestato non sussiste”.
By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.