La bancarotta da reato societario si configura anche se le false comunicazioni sociali concorrono solo ad aggravare lo stato di dissesto dell’impresa.
E’ il principio di ribadito dalla Corte di cassazione – sezione quinta penale con la sentenza numero 27471/2024 – depositata 10/07/2024 (udienza pubblica 10/04/2024), che si è pronunciata sul tema del nesso causale tra il delitto di false comunicazione e quello fallimentare previsto e punito dall’art 223, comma 2, n. 1, legge fallimentare.
Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, ritenuto l’imputato rinviato a giudizio quale componente del CDA della società fallita, responsabile di bancarotta da reato societario per avere esposto fatti non corrispondenti al vero nel bilancio, in tal modo concorrendo ad aggravare il dissesto della società.
In particolare, secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata anche dalla Corte di appello, l’imputato (che faceva parte del consiglio di amministrazione, che aveva approvato il bilancio relativo all’esercizio 2016, e che, in precedenza, aveva ricoperto il ruolo di responsabile finanziario del gruppo societario), nonostante fosse perfettamente consapevole della disastrosa situazione finanziaria delle partecipate, iscriveva, nel bilancio relativo all’esercizio 2016, le partecipazioni della fallita nelle società controllate al valore di costo, rappresentando, in tal modo, una situazione economica e patrimoniale della società infedele e ciò al fine di occultare lo stato d’insolvenza in cui essa versava e consentire la prosecuzione dell’attività.
Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato articolando plurimi motivi di impugnazione censurando anche la sussistenza tra il reato di cui all’art. 2621 cod. civ. e lo stato di dissesto, in realtà creatosi per altre dinamiche avverse che avevano colpito l’attività di impresa prima del deposito del bilancio.
Il Collegio del diritto ha ritenuto infondata la superiore tesi difensiva rigettando il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi estratti dalla parte motiva della sentenza di interesse per la presente nota:
“…..La prima censura, con la quale il ricorrente sostiene che non sussisterebbe il nesso di causalità tra le false comunicazioni contestate all’imputato e il dissesto della società, non è fondata.
Con il d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61 è stata riscritta la fattispecie della bancarotta “da reato societario” e il dissesto è stato configurato come evento del reato. Non occorre, però, che la commissione del fatto integrante l’illecito societario sia l’unica causa del dissesto, essendo sufficiente che abbia concorso a produrlo. L’efficacia causale del “reato societario”, cioè, non è esclusa dal concorso nel dissesto di altre cause.
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che rilevano anche le condotte successive all’intervenuto dissesto, in quanto sia il richiamo alla rilevanza delle cause successive, espressamente dispiegata dall’art. art. 41 cod. pen., che disciplina il legame eziologico tra il comportamento illecito e l’evento, sia la circostanza per cui il fenomeno del dissesto non si esprime istantaneamente, ma con progressione e durata nel tempo (tanto da essere suscettibile di misurazione), assegnano influenza a ogni condotta che incida, aggravandolo, sullo stato di dissesto già maturato.
Non interrompono il nesso di causalità tra condotta ed evento, dunque, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente, valendo la disciplina del concorso di cause di cui all’art. 41 cod. pen., né il fatto che l’operazione dolosa abbia cagionato soltanto l’aggravamento di un dissesto già in atto.
Con particolare riferimento al falso in bilancio, questa Corte ha specificamente affermato che «integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell’amministratore che espone nel bilancio dati non veri al fine di occultare la esistenza di perdite e consentire quindi la prosecuzione dell’attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, con conseguente accumulo di perdite ulteriori, poiché l’evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto» (Sez. 5, n. 42811 del 18/06/ 2014, Ferrante, Rv. 261759; Sez. 5, n. 42272 del 13/06/2014, Alfano, Rv. 260394; Sez. 5, n. 1754
del 20/09/2021, Bevilacqua, Rv. 282537).
Il nesso causale tra la falsa attestazione e il dissesto, dunque, è ravvisabile non solo in presenza di condotte che incidono direttamente sulla consistenza patrimoniale della fallita, ma anche quando la falsa rappresentazione, avend avuto come risultato quello di rendere indiscernibile l’esistenza di consistenti perdite nell’attività patrimoniale, ha permesso la prosecuzione dell’attività d’impresa, in assenza di interventi di ricapitalizzazione, con conseguente accumulo di ulteriori perdite. E ciò anche ove la condotta degli amministratori si sovrapponga (in applicazione del principio di cui all’art. 41 c.p. e della naturale progressione del fenomeno economico) a una situazione economica e patrimoniale di irreversibile decozione già maturata (Sez. 5, n. 16259 del 04/03/2010, Chini, Rv. 247254)”.
By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.