Reati fallimentari: la condanna per bancarotta si può fondare anche sul contenuto della testimonianza indiretta resa dal curatore fallimentare.

E’ il principio di diritto fissato dalla sezione quinta penale della cassazione con  la sentenza numero 29608/2024 – depositata il 19/06/2024, che ha affrontato la questione giuridica dell’utilizzabilità ai fini probatori della testimonianza indiretta resa dal curatore fallimentare nel corso del processo.

Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità penale dell’imputato rinviato a giudizio per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, quale amministrazione di fatto della società fallita.

Con il ricorso per cassazione la difesa del giudicabile aveva eccepito l’inutilizzabilità della testimonianza del curatore nella parte in cui aveva riferito in ordine a quanto appreso dalla madre dell’imputato – amministratrice di diritto – nel corso delle indagini svolte dall’organo fallimentare circa il ruolo di effettivo dominus dell’impresa ricoperto dl figlio

La Corte di legittimità ha rigettato l’impugnazione di legittimità statuendo quanto segue:

“….Orbene   da   tempo   la   giurisprudenza   di   legittimità   è  attestata   sul condivisibile principio, secondo cui è utilizzabile, quale prova a carico dell’imputato, anche la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie resegli da un coimputato non comparso al dibattimento, e trasfuse dallo stesso curatore nella  relazione redatta ai sensi dell’art. 33 I . fall.

Nè sussiste, qualora l’imputato o il suo difensore non abbiano chiesto l’esame del predetto coimputato, la violazione dell’art. 526 cod. proc. pen., in quanto, in tal caso il dichiarante non si è per libera scelta volontariamente sottratto all’esame dell’imputato, stante la ratio dell’art. 526 cod. proc. pen. preordinata ad assicurare la piena esplicazione del principio del contraddittorio che, tuttavia, non ha carattere assoluto ma è rimesso alla discrezionalità della parte, la quale può scegliere  liberamente  le prove da  introdurre e da  escutere  nel processo, con la conseguenza che non può dolersi della mancata assunzione o escussione di prove non richieste (cfr. Sez. 5, n. 3885 del 09/12/2014,    Rv.   262230;    Sez.   5,   n.   24781   del   08/03/ 2017,  Rv.270599).

Come è stato affermato in altro e più recente arresto, il curatore fallimentare non svolge attività ispettive e di vigilanza, ma, in qualità di pubblico ufficiale, è tenuto a rappresentare nella  relazione a sua firma anche  “quanto  può interessare ai fini  delle  indagini  preliminari  in sede penale”, dando corso  all’audizione dei soggetti diversi  dal fallito per richiedere informazioni e chiarimenti occorrenti “ai fini della gestione della procedura”. Il caso concreto preso in esame dalla Suprema Corte riguardava dichiarazioni rese al curatore da un teste e da un indagato di reato connesso in ordine al ruolo di amministratore di fatto della fallita rivestito dall’imputato, compendiate nella relazione e oggetto di testimonianza indiretta da parte del curatore stesso, che il giudice di legittimità ha ritenuto pienamente utilizzabili (cfr. Sez. 5, n. 17828 del 09/02/ 2023,  Rv. 284589)”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA