In assenza di specifica impugnazione è legittima la condanna alle pene accessorie fallimentari determinate nella misura massima.

E’ il principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione – sezione quinta penale con la sentenza numero 33667/2024 – depositata il 04/09/2024 che è tornata a pronunciarsi sul tema giuridico dell’esercizio del  potere discrezionale riconosciuto al giudice di  merito nella determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari che, come noto, seguono per lege alla comminatoria della pena detentiva principale.

Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano condannato  l’imputato alla pena principale ritenuta di giustizia per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva quale amministratore di fatto della società fallita, infliggendo, altresì, al medesimo giudicabile, le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e dell’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa nell’estensione massima di 10 anni fissata dall’art. 216, ultimo comma, legge fallimentare.

Secondo la tesi difensiva articolata con uno dei plurimi motivi posti a fondamento dell’impugnazione di legittimità, la misura della pena accessoria era da considerarsi illegale in quanto applicata nella massima misura nonostante l’intervento della Corte Costituzionale di cui alla sentenza n.222 del 2018.

La Suprema Corte ha ritenuto infondata la superiore doglianza rigettando il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi estratti dalla parte motiva della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

“….Con l’atto di appello l’imputato aveva l’amentato l’eccessività della pena principale (con conseguente specifica ed esaustiva risposta della sentenza impugnata); ma nulla aveva dedotto in relazione alla pena accessoria fissata nella misura pari al massimo.

Va rilevato che nel caso di specie la pronunzia di primo grado è avvenuta in data 7 novembre 2022 e l’appello è stato proposto in data 19 gennaio 2023, dopo l’intervento della Corte costituzionale la quale, con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 216, ultimo comma, legge fall., nella parte in cui stabilisce in dieci anni, anziché fino a dieci anni, la durata delle sanzioni accessorie  in essa prevista.

La pronuncia additiva della Consulta, pur senza avere inciso sul meccanismo di automatica applicazione, ha determinato un sostanziale e rilevante mutamento della previsione circa la durata decennale, unica e fissa, delle pene accessorie fallimentari ivi stabilite, con la trasposizione all’interno dell’art.  216  della medesima formulazione degli artt. 217 e 218 I. fall., comportante la determinazione da parte del giudice della durata in  base ad una valutazione operata caso per caso e disgiunta dalla commisurazione della pena principale, da ancorare al diverso carico di afflittività ed alla diversa finalità di ciascuna pena.

Sul tema sono poi intervenute anche le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a dirimere il contrasto emerso tra le sezioni semplici in ordine agli effetti ed alle modalità di reazione alla sentenza della Corte costituzionale in riferimento ad un processo di cognizione, non ancora definito con sentenza irrevocabile; hanno così stabilito che “La durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 cod. pen.” (Sez. U., n. 28910 del 28/02/ 2019, Suraci ed altri, Rv. 276286), rimettendo al giudice di merito il compito di procedere alla rinnovata commisurazione in base ai criteri di principio così espressi.

Nel caso dì specie il giudice di primo grado ha pronunziato la sentenza successivamente alla pronunzia della Corte costituzionale e dunque la pena accessoria, seppure applicata nel massimo, non risulta per questo illegale.

Nell’atto di appello il ricorrente non ha dedotto alcun vizio motivazionale in relazione alla pena accessoria come applicata”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.